Dopo oltre un anno, finalmente il grande Fabrizio Moro è tornato a Torino, e ha riallacciato il suo rapporto d’amore mai interrotto con la città, il suo pubblico, i tanti che non aspettavano altro che riascoltare quella voce così riconoscibile, unica, ricca di energie come il suo stare sul palco ma da cantante, ma quasi sempre da grintoso lottatore.
Come da sempre, al suo fianco la band storica, ovvero Claudio Junior Bielli alle tastiere, Roberto Maccaroni alla chitarra e ai cori, Andrea Ra al basso e ai cori,Alessandro Inolti alla batteria, cui si sono affiancati due new entry: Vincenzo Meloccaro al sax e Davide Gobello alla chitarra.
Un tour teatrale ha esigenze differenti dagli spazi aperti, sia nel ritmo che nella intensità dei pezzi. E la scaletta studiata per questa tournée ha raccolto canzoni differenti per stile e album, con l’unico obiettivo di far cantare a una sola voce le persone del teatro. Un grande coro transgenerazionale che si è ritrovato nei grandi successi di Fabrizio, che è andato a pescare nei cassetti della memoria anche l’emozionante 21 anni, di 12 anni fa, tratto dall’album Pensa.
Ascoltare un concerto di Fabrizio è un’esperienza unica, differente da tanti altri. Perché Fabrizio possiede il raro dono di toccare le corde del cuore aprendoti la sua anima in modo sincero e quasi ingenuo. Lui non ha paura di svelarsi oggi che la musica lo sta ripagando di tutte le sue fatiche e concretizza il giusto successo di un uomo che ha creduto fino in fondo nel suo percorso artistico che lo ha visto a volte lottare per arrivare. Ma il suo canto o la sua scrittura non hanno mai deviato, e ancora adesso non variano stile, non si amalgamano alle scelte di mercato, vanno dritte per la loro strada rimanendo immancabilmente attuali, vere, dirette. E ti raccontano Fabrizio Moro uomo, prima ancora che cantante. Un uomo che ha scritto sulla pelle la sua storia nei tanti tatuaggi che gli fanno da seconda pelle e da mappa per il cammino personale fatto di brani che raccontano la rabbia, la violenza, la grinta, l’amore; brani di denuncia sociale e politica che non si fanno mai proclama ma invito a riflettere anche quando sono gridati con la sua voce forte.
Una voce capace di diventare dolcissima e intima, quasi un sussurro di racconto privato, come quando canta Portami via, brano dedicato alla sua piccola Anita, la secondogenita di casa Moro. Ma il concerto ha visto una cavalcata che dai pezzi datati ha ovviamente dato spazio ampio ai più recenti: da Filo d’Erba (dedicata al figlio Libero), a Ho bisogno di credere; da Figli di Nessuno, a La felicità, per finire con L’eternità.
Il suo è stato un concerto a tutto tondo. Ha toccato in profondità i sentimenti nascosti con un live che ha avuto un momento importante quando la sua voce e la sua chitarra acustica ha imposto un momento di calma a un live energico, ritmato, denso di significato. Fabrizio Moro ancora una volta ha cantato la libertà. Perché la ama. La difende. E la canta.