Me ne torno felice e melanconico da un pomeriggio trascorso con Bruno Petretto. Stringo delicatamente tra le mani il mandarino che ho trovato sotto l’albero genitore che in agosto, prematuramente, l’ha deposto al suolo.
La buccia arancione protegge come una camera d’aria il frutto che al tatto, sotto la scorza, si rivela minuto, esile, da proteggere. Lo mostro a Bruno e gli chiedo di firmarlo per me. “È una tua opera” gli dico. Lui mi sorride e mi abbraccia e colgo l’energia che solo lui sa trasmettere.
Passeggiamo nel suo “Parco del Tempo” dove, proprio al Tempo, ha affidato i suoi alberi, le sue piante, le sue rocce, i suoi animali, i suoi lavori e quelli dei suoi amici: scultori, pittori e installatori concettuali. Chiacchieriamo di arte, natura e spazio.
Mi avvicino alle opere immerse, qua e là – ma non a caso- nella vegetazione perlopiù spontanea. Mi soffermo sul noce trasformato nel 2019 in un San Sebastiano dal quale, ora, Carlo Lauricella ha tolto le frecce, bendandone le ferite. Rifletto sotto l’opera appesa ad un ramo di Gian Mario Baldino: “7 lettere in A4”.
Le sei vesciche di maiale dondolano come palloncini contornati da cornici vuote, esaltando i materiali utilizzati dall’artista: aria, luce, liquidi, semi. Osservo la settima (o forse prima) lettera: un’allegoria dell’essere vivente. La miniatura d’uomo-animale mostra la lingua, sotto un lungo naso e il suo collo si allunga in un corpo di bestia, evidenziando i testicoli in una smorfia globale, rossa.
La figura umana di Cristian Lubinu, vicino al campo dei miracoli di Gianni Nieddu (“Semi di collodiana memoria”), plasmata con fango e torba attorno ad una croce, sta subendo la volontà del Tempo: il sole la secca; la pioggia l’assottiglia, i muschi la intaccano, i germogli fioriscono sul corpo di creta che osserva il cielo con aria meravigliata. Appena il sole ruota, le ombre trasformano lo stupore in un urlo. Sotto le spalle, si intravvede la croce che qui non pesa sull’uomo ma lo sorregge, come spina dorsale.
Giovanni Sanna ha incollato al tavolo, sotto la casa sull’albero di Bruno Petretto, le sue Fate e, mentre quattro sagome piatte di Oscar Solinas sono impegnate in una cordata che lascia intravvedere l’impegno e la speranza di raggiungere la vetta, la quinta di esse rimane seduta ad osservarli.
Il cavallo di Salvatore Mereu sembra quasi un giocattolo abbandonato sul prato e la sensazione è trasmessa dal titolo: “Festa di mezza estate”.
I suoni e i colori della natura mi confondono. La voce di Bruno e i suoi racconti mi inebriano. L’Ophelia di Giusi Calia è dormiente nella sua grotta di rami e foglie. La tomba ancora vuota della ben vivente Josephine Sassu, da lei stessa voluta e assemblata immaginando che lì permarranno le vestigia del suo passato, mi spinge ad una riflessione sulla via dell’energia vitale del trascendimento, a volte anonima.

Mi riporta aldiqua Bruno Petretto che apre la porta del suo atelier: libri e odori di anni trascorsi a rielaborare, concettualmente, pelli di pecora essiccate, fibre di fico d’india, penne di volatili portate a lui dal vento per essere fissate, dalle sue mani, su reticoli di filo spinato, a comporre armonici e inquietanti pentagrammi.
Mi porge uno dei suoi “libri del tempo”: pagine di legno sulle quali ha fissato le opere della Natura. La sua arte è visiva, tattile, evanescente ed emotiva. Non usa colori. Lascia fare allo Spazio, all’Universo, al Tempo. La sua ricerca mi trasmette un filosofico pensiero sull’infinitezza dell’Energia Vitale. Mi immerge nel senso della vita umana fatta di splendore e crudeltà, di bellezza e banalità.
Mi chiedo cosa sia la bellezza. Penso sia una forma compiuta, armonica, che si fa desiderare.
Saluto Bruno con un abbraccio. Ci lasciamo con la promessa di rivederci presto. Stringo il mandarino che ha firmato. Attenderò che il Tempo lo trasformi e attenderò di incontrare ancora Bruno in qualche posto, in qualche Tempo, in uno spazio infinito o segmentato (chissà) dove le energie affini si scambiano, penetrano l’una nell’altra e scoppiano come un fuoco d’artificio al congiungimento di una condizione di curvatura che lascia il passato dietro alla certezza di un futuro Universale, incerto a noi uomini.
Ci incontreremo ancora, Bruno! Che il Tempo sia con noi!
BRUNO PETRETTO (Giave, 1941)
Nato a Giave, arriva a Sassari negli anni cinquanta. Nel 1975 inizia ad elaborare le sue espressioni artistiche, da autodidatta. La sua ricerca e la sua poetica artistica è connessa alla natura, alla terra, all’Universo al quale si sente profondamente connesso. Vive dagli anni ottanta a Molineddu, il suo parco privato, divenuto il suo atelier e spazio espositivo delle opere degli artisti contemporanei, suoi amici.
PARCO DELLE ARTI di MOLINEDDU, Ossi (SS)
Strada Statale 131 direzione Sassari (cercare su Google map: UNNAMED ROAD 07045, Ossi (SS)
Photocredit: Daniele del Zotto