Ogni settore ha le sue problematiche. Alcune più grandi e altri minori. Ma non è una questione di numeri, anche se i numeri contano, un po’ come le dimensioni in tutti i campi. Quello che conta, oggi, è che i numeri ci dicono che il mondo degli eventi a marzo ha fatturato quasi pari allo 0%. E 0 non è un numero bello.
Il settore degli eventi è ormai in rianimazione. C’è ben poco che si possa fare in modo diretto. La rianimazione, come si sa, ha l’unico obiettivo di prendere tempo in attesa di trovare le cure. E per gli eventi, la rianimazione significa un intervento strutturale enorme. Gli eventi e il turismo, la event industry, riempie il 40% del numero di camere alberghiere, non solo durante il periodo delle vacanze, ma tutto l’anno. Gli alberghi, le agenzie di eventi, i ristoranti, i catering, non sono un negozio dove se oggi non vendi un maglione e domani ne vendi 2 hai pareggiato il tuo break even. Questa industria, quello che perde oggi non lo recupererà mai più. Domani non può vendere 160 camere per pareggiare le 80 che non ha venduto oggi. Semplicemente perché ha magati solo 80 camere e non si moltiplicano come i pani e i pesci dei miracoli evangelici. Lo stesso vale per i posti al ristorante, per gli spazi delle location, per le sedie delle sale meeting, per i tavoli dei catering. Quello che è perso, giorno dopo giorno.
La filiera degli eventi, che ingloba concerti, entertainment, fuori salone del mobile, presentazioni aziendali, meeting, congressi, eventi sportivi di ogni tipo (dalle Olimpiadi alla gara di marcia non competitiva della Pro Loco che necessita comunque di un minimo di organizzazione) è un mercato del lavoro da oltre 750.000 persone e coinvolge, nelle varie iniziative, quasi 30 milioni di italiani. Stiamo parlando di un settore che produce 15 miliardi di euro di fatturato nelle sue varie voci.
Tutto questo settore oggi è drammaticamente fermo. Non si fa più nulla.
Sono fermi i congressi medici, rinviati a data da destinarsi. Sono rinviate le fiere. Alcune già decise e altre da definire. E con essi tutti gli eventi collaterali che ogni fiera si porta appresso. Sono rinviate le presentazioni aziendali, i meeting, i kick off (non c’è nulla da lanciare non potendo produrre; non ci sono obiettivi di vendita da dare non potendo far viaggiare gli agenti … è lapalissiano). Sono rinviati i concerti, sostituiti da esibizioni casalinghe degli artisti che, se da un lato ci portano un momento di umanità quotidiana della star, dall’altra ci allontanano dal concetto di emozione di un live coinvolgente che si basa non solo sulla musica ma sullo stare insieme, sulla vita comune che oggi ci è negata. Sono rinviate tutte le manifestazioni sportive. E se questo da un lato è positivo perché allenta le tensioni degli scontri tra tifosi, dall’altro è drammatico: mancano i sogni, mancano gli entusiasmi legati all’emozione della vittoria o della sconfitta della propria squadra o del proprio atleta, mancano gli stimoli ad allenarsi con l’obiettivo di avvicinarsi a chi ci si pone come modello. Sono rinviati i viaggi, che portavano a seguire e vivere gli eventi. E con essi aumenta la crisi del settore aereo e alberghiero.
In parole povere, la situazione del settore eventi è un dramma. E adesso diventa chiaro ogni giorno di più. Mantenendo il lockdown -non solo del settore, ma quel che è ben più grave, dell’intera nazione e dell’intera produzione aziendale nazionale- anche ad aprile, non avendo date certe di ripresa, non solo il primo, ma anche il secondo trimestre sarà compromesso. Le agenzie di eventi che, in diretta, danno lavoro a 50.000 persone, sono al collasso. Gli ECM bloccati fermano una filiera congressuale, gli eventi saltati stoppano service audio luci e regie, i trasporti hanno camion e furgoni fermi nei depositi con runners e stage holders senza stipendio. Ad oggi, i dati raccolti ci parlano di quasi un 50% di eventi rinviati o addirittura annullati. Un numero quasi insostenibile se non con massicce misure di protezione del settore perché significa una perdita in termini economici del 50/60/70% dei fatturati annui. Anche perché la ripresa non sarà né facile né immediata. Questo ormai appare evidente anche dalle dichiarazioni sulla durata del lockdown ben oltre Pasqua. Ecco perché credo che si debba riaprire tutto.
Uno studio commissionato da ADC Group per il Club degli Eventi e pubblicato la scorsa settimana, afferma attraverso Cosimo Finzi, Direttore di AstraRicerche che ne ha curato il sondaggio, che “il settore degli eventi è uno dei più penalizzati dalla crisi causata dal Covid-19 perché il blocco è quasi completamente totale”. A questo si aggiunge che il periodo di lockdown è uno di quelli a maggior impatto per la meeting industry visto che si sa fin d’ora che il distanziamento sociale continuerà anche dopo la riapertura e ci vorrà tempo per definire nuovamente modalità di gestione degli eventi e dei viaggi, che non sarà uno switch automatico da interruttore “one on-one off”, acceso-spento. E poi ci sono tempi di ripresa, riprogettazioni, protezioni, rinegoziazioni con hotel e strutture, sempre sperando nella correttezza di tutti e che nessuno applichi clausole di “causa di forza maggiore” per aumentare i prezzi delle riprotezioni.
Tre dati interessanti della ricerca, provocano però una curiosa domanda contraddittoria. Tutti, agenzie e clienti, concordano sulla giustezza del blocco degli eventi in ogni forma di presenza fisica. E tutti sono convinti che i danni (anche collaterali) saranno enormi, portando a chiusure, e acquisizioni (65% degli intervistati). Mentre oltre il 30% concorda sul fatto che crescerà il numero di eventi OnLine. Quindi: ci saranno morti e feriti e cambierà tutto. E va tutto bene?
Io direi di no. Non sono d’accordo. Ma d’altronde sono un salmone, vado controcorrente da sempre. Non sono d’accordo su questa chiusura, ma non solo degli eventi: a livello paese. Lo ripeto: sono tra quelli che pensano che sia stato un errore chiudere e che si debba riaprire il più in fretta possibile. Con cautele, ma da domani. Non sono d’accordo perché il modello Corea mi pare più sensato: facciamo tamponi a tutto ciò che respira e si muove e poi via libera ai sani. Non sono d’accordo perché, al di là della facciata ottimistica, io credo che tutti sappiano che invece alla riapertura non sarà tutto come prima e basterà attendere un po’ per tornare ai risultati previsti, magari con un pizzico di ritardo. A meno di non credere di essere tra i quelli che non saranno acquisiti, non chiuderanno o non dovranno drasticamente ridimensionarsi.
E non sono d’accordo per un punto che esula completamente da tutti gli aspetti razionali. Il mondo dei viaggi, degli eventi, della live communication non è onanismo. Non voglio immaginarmi un mondo in cui vedrò la Gioconda dal sito internet del Louvre. Non voglio pensare a un mondo in cui guarderò il mare attraverso un casco multimediale che mi trasmetterà il rumore delle onde e il video del tramonto. Non voglio neppure immaginare un mondo in cui mi vedrò uno speaker in videoconference, lo ascolterò parlare facendogli domande da una telecamera o da una chat e non potrò dirgli “grazie” di persona, sentirlo per un attimo vicino non solo per le idee ma per la fisicità che ogni incontro con una persona comporta. Non voglio immaginare che il prossimo concerto lo vedrò da solo in casa, ascoltando nelle cuffie il gruppo o il cantante che suona senza cantare, saltare, applaudire e piangere magari insieme ad altre mille persone. Non voglio credere che sia possibile un mondo in cui ballerò da solo muovendomi come un matto e nelle orecchie le ear monitor. Lascio volentieri Porn Hub ai fautori del sesso certo in cambio di un “due di picche” reale. Non mi rassegno a un mondo prossimo venturo in cui non potrò stringere le mani in segno di saluto e rispetto, abbracciare gli amici, condividere le loro lacrime sul mio viso per consolarli di un dolore solo per la paura di ammalarmi.
No. Preferisco morire da sano che vivere da malato. Preferisco la realtà con tutte le sue tragiche conseguenze a un mondo virtuale in cui non c’è più contatto. Sono fatto di carne e sangue, non di chips e led; è quello che ci distingue dalle macchine. È la nostra mortalità che ci tiene vivi.