La nuova mostra di Palazzo Fava celebra, con oltre 70 dipinti, Giovanni Fattori, un “macchiaiolo” la cui unicità fa dire di lui che è “il primo naturalista che abbia dato una singolare fisionomia alla pittura italiana”: tra ritratti, dipinti a tema risorgimentale e la purezza primigenia dei paesaggi della Maremma, dei suoi animali e dei suoi butteri.
Telemaco Signorini, uno dei protagonisti della rivoluzione pittorica macchiaiola, difendeva dalle pagine del Gazzettino il premio assegnato nel 1866 dalla Società al Fattori: “Perché si premia il quadro del sig. Fattori, si grida da ogni parte, se non ha soggetto che interessi? […] Il sig. Fattori non ha realizzato una forma in questo suo quadro, egli ha realizzato un sentimento”
Sono parole che, individuando nel sentimento l’elemento fondamentale della sua pittura che coglievano il segno di una pratica artistica capace, nella ritrattistica come nei paesaggi, nei quadri di soggetto campestre così come nelle grandi tele risorgimentali, di rivelare una peculiare maestria nell’esprimere l’umanità più vera e le più profonde emozioni.
L’aspetto umano dell’opera del maestro è fulcro della mostra “Fattori. L’umanità tradotta in pittura”, che resterà aperta fino al I maggio ’23 al Palazzo delle Esposizioni di Genus Bononiae in via Manzoni, 2 a Bologna, realizzata in collaborazione con l’Istituto Matteucci.
Il percorso espositivo a cura di Claudia Fulgheri, Elisabetta Matteucci e Francesca Panconi, studiose e profonde conoscitrici della vasta produzione di Fattori, presenta una straordinaria selezione di oltre 70 opere della produzione del maestro indiscusso della macchia, eccezionale precursore della modernità̀ del XX secolo.
L’ultima mostra presentata a Bologna sul grande maestro livornese data oltre 50 anni fa.
Intanto, parallelamente al progredire degli studi, l’interesse nei confronti dei Macchiaioli è andato crescendo, anche per le importanti rassegne che hanno visto al centro il movimento pittorico toscano.
L’esposizione a Palazzo Fava vuole restituire, attraverso un excursus temporale e tematico nella poderosa produzione dell’autore, il suo sguardo al contempo innamorato e disincantato sull’esistenza, rivelandone l’inconsapevole poesia che, nonostante tutto, permea e nel contempo essa nasconde.
«La rinnovata attenzione nei confronti dei Macchiaioli è confermata non solo dalla vasta bibliografia ad essi dedicata dal Dopoguerra ad oggi, ma anche dall’interesse mostrato per la loro pittura da istituzioni museali straniere. É quanto emerso nelle fasi di progettazione di una mostra all’interno della quale spiccano autentiche pietre miliari degne delle più prestigiose collocazioni pubbliche. Proprio nell’opportunità di alzare il velo su di esse consiste l’elemento di maggior attrazione della mostra, restituendo un Fattori, se possiamo dirlo, “privato”, meno conosciuto e indagato» , sostengono le curatrici.
La sequenza delle opere offre al visitatore la possibilità di seguire l’intera evoluzione creativa della pittura di Fattori, accorpando la selezione in nuclei tematici – La macchia: nascita di una nuova arte,
Il tema militare come documento di storia e vita contemporanea, L’altra faccia dell’anima, Castiglioncello, “remoto e delizioso sito”, L’intima percezione del proprio tempo, La luce del vero, elemento vivificante e Gli animali, creature amiche, potenti e pacifiche: dalle prime ricerche sulla macchia applicate alla documentazione degli eventi bellici risorgimentali, con capolavori quali Soldati francesi del ’59, in cui le sagome dei soldati sono risolte in pure macchie di colore nel paesaggio, Posta militare al campo e l’inedito In marcia.
Tra le opere più preziose si annovera L’appello dopo la battaglia del 1866. L’accampamento, dipinto del 1877 circa proveniente dal Palazzo della Consulta di Roma che si offre per la prima volta alla vista del pubblico.
L’incontro con la vitalità primigenia della Maremma, dove il pittore coglie, nella simbiosi tra uomo e animale, la traccia della propria anima insieme schietta e genuina apre uno scenario che dà nuovo slancio alla sua creatività, con capolavori quali La mena in Maremma o il lirico Viale con buoi e spaccapietre, presentato alla critica internazionale nella rassegna International Exhibition di Filadelfia del 1876.
Il catalogo, edito da Skira, è arricchito da un nutrito apparato iconografico che documenta la figura di Fattori in ogni suo aspetto. La prefazione porta la firma di Pupi Avati, che con velata nostalgia rievoca un episodio dell’infanzia, quando la morte del padre costrinse la sua famiglia a privarsi di un quadro di Fattori, ritenuto il pezzo più importante della collezione riunita dai genitori.
Il “buco nella parete” lasciato dal quadro, testimone muto del lutto, diventa il pretesto per rivelare il legame tra il regista e l’arte di Fattori, frutto di un’ossessione “di chi assedia all’infinito le stesse immagini cercando di ricavarne il segreto, come faceva Pavese scrivendo delle colline della sua infanzia”. Volti e paesaggi che “sembrano sul punto di rivelarci qualcosa”, antesignano di quell’attesa del disvelamento del vero che sarà tipico della poesia Novecentesca, in particolare di Eugenio Montale, e di quel realismo che “può e deve essere magico non se cerca di abbellire la realtà: ma solo perché ne rivela il volto segreto”.