Baccalà alla vicentina

Il Baccalá alla Vicentina: breve viaggio gastronomico nella terra del Palladio

Dal merluzzo al Baccalà alla vicentina il passo è breve. Ottimo in ogni stagione il merluzzo, un pesce dell’Oceano Atlantico Settentrionale dalle carni bianche compatte e delicate, arriva sulle tavole degli italiani surgelato: a tranci, sfilettato da cuocere al naturale, già panato o sotto forma di croccanti bastoncini.
Il commercio del merluzzo surgelato, essendo legato a tecnologie di conservazione e trasporto moderne, è iniziato solo in tempi recenti ma, già dal 1431, grazie ai viaggi fuori Mediterraneo del veneziano Piero Querini, questo pesce raggiunse Venezia mondato, salato ed essiccato e duro come un bastone.

La gente delle isole Lofoten, al largo delle coste della Norvegia, dove, per caso a causa di un naufragio, arrivò l’equipaggio della nave veneziana, lo chiamavano “Stockfiss” che erroneamente, in Veneto, viene chiamato Baccalà che è, invece, il nome datogli dai pescatori baschi che usavano lo stesso metodo di conservazione usato per la carne di balena: il sotto sale.
Da Venezia, il Bacalà (non è un errore: per la Confraternita degli amanti di questo prodotto si deve scrivere con una sola “c”) raggiunse l’entroterra e, a Vicenza, venne apprezzato e utilizzato a tal punto che, quando nel 1580, agli esordi dell’era Palladiana, Michel de Montaigne, filosofo e scrittore molto conosciuto in Francia, sua terra d’origine, lo elogiò nel suo famosissimo libro “Journal de Voyage en Italie” definendolo “piatto nazionale dei vicentini”. Insomma un po’ la genesi del, poi divenuto, Baccalà alla vicentina.

Probabilmente, in 400 anni dal suo primo utilizzo, il Bacalà ha subito svariatissimi metodi di preparazione e cottura e quello descritto dal de Montaigne, non era lo stesso che mangiamo oggi. Sembra, però, che dal 1890 la ricetta del “Baccalà alla Vicentina” abbia acquisito fama e notorietà grazie alle abilità culinarie della Siora Vitoria, all’anagrafe Giuseppina Terribile che nel suo ristorante attirava i buongustai di tutta Europa

Lo stoccafisso non é un alimento facilissimo da preparare, specialmente nella sua versione alla vicentina. Reidratarlo a dovere, condirlo e cuocerlo al punto giusto è una vera arte. Il risultato è una pietanza saporitissima e raffinata che merita di sposare vini importanti e dovrebbe essere servita in ogni cucina d’autore.

I ristoranti dove viene preparato questo piatto sono centinaia e sono decine quelli nei quali l’ho assaggiato. Sicuramente, l’apprezzamento di una pietanza è sempre soggettivo e legato a gusti personali, per questo, senza inoltrarmi in “criticonerie culinarie” ho scelto di scrivere del mio recente percorso esperienziale dedicato all’assaggio del Baccalà alla vicentina, cucinato da tre chefs che per stile, fama e servizio, sono “diversamente uguali” nella preparazione del “bacalá alla vicentina”: Il giovane e stellato Lorenzo Cogo che, l’anno scorso, ha lasciato  El Coq e il Bistrot Caffè Garibaldi nel centro di Vicenza decidendo di dedicarsi al Bistrò del Cogo, ristorante di famiglia a Thiene; Annamaria Mianzan Guerra dell’Antica Osteria Madonnetta di Marostica; Antonio Chemello che con il figlio Marco, gestisce la storica Trattoria Da Palmerino di Sandrigo, sede dalla Venerabile Confraternita.

Partiamo da Lorenzo Cogo, che attribuisce, nella preparazione del piatto, fondamentale importanza al soffritto di cipolla con sarda dissalata. La lentissima cottura lascia intatta la dolcezza della cipolla, rigorosamente bianca e sminuzzata, e delle sarde sottosale di ottima qualitá: é questo il primo segreto! Lo stoccafisso delle isole Lofoten viene reidratato da un filo d’acqua corrente; amorevolmente sfilettato e farcito col soffritto, quasi fosse un trattamento da centro benessere a 5 stelle. Viene poi salato con sale grosso, pepato, infarinato e richiuso a sandwich prima di essere tagliato e cotto in tegame in un bagno di latte, panna e olio. La consistenza soda e il colore bianco della carne confermano il sobbollore di almeno 4 ore; l’aggiunta di prezzemolo fresco, a fine cottura, ne esalta il profumo di questo piatto. Et voilà il Baccalà alla vicentina!

Baccalà alla vicentina

Annamaria Mianzan Guerra, cuoca nella trattoria gestita dal 1904 dalla sua famiglia: atmosfera  d’altri tempi, tavole da condividere, profumo di buono e l’immancabile gentilezza di appassionati ristoratori; anche in questo caso, un bacalà trattato a regola d’arte, forse non accarezzato e coccolato, ma sicuramente ottimo. Ho voluto, per la prima volta, assaggiarlo anche come condimento di un’ottima pasta fatta in casa. Ottima consistenza, cremosità, profumo e assenza di oleosità. In più, visto quanto proposto dal menù, non sono riuscito a trattenermi nel provare dei salumi di primordine accompagnati da un contorno che, nella sua versalità e fluidità, trovo estremamente contemporaneo: sottaceti fatti in casa. A chiusura della cena, i distillati del maestro Capovilla hanno rallegrato il mio palato e il mio spirito!
Che dire: provare per credere!

Antonio Chemello, nominato dalla Venerabile Confraternita maggior interprete del Bacalà alla Vicentina, è il patron-chef della storica Trattoria Da Palmerino; qui il bacalà assume il titolo di “Sua Maestà” e si sa che è concesso a pochi accarezzare un Re e festeggiarlo con coriandoli di prezzemolo che qui, vengono aggiunti in cottura. Chemello reidrata il bacalà in catini d’acqua di fonte, cambiata e cambiata più volte, e lo cuoce rigorosamente senza l’aggiunta di panna. Risultato: un gusto più deciso ed una solida consistenza delle carni, data anche da adeguate e segrete tempistiche di cottura.

Non potevo esimermi dal provarlo anche “in risotto”… inutile, Il Re regna da solo!

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