Fino ai primi anni ’90, l’Omino coi Baffi , sinonimo di “buon caffè” era nelle case degli italiani come il telegiornale, Domenica In e Mike Bongiorno; da due tazze, media da quattro, fino a quella grandissima da 10, era sempre in funzione e non si lavava mai col detersivo. Avevamo sempre la guarnizione di scorta che si cambiava quando ormai quella usata era scura e crepata; si tergiversava non tanto per risparmiare quanto per paura che cambiasse la resa ed il gusto del caffè.

Quando qualcuno arrivava a farti visita, lo faceva senza avvertire e la moka era sempre pronta a fare il suo dovere. “Metto su il caffè” era una delle tante frasi di rito degli italiani. La zuccheriera conteneva solo zucchero bianco, un po’ grosso, di una dolcezza diversa da quello raffinatissimo e quasi impalpabile di oggi. Il caffè lo si comprava in torrefazione oppure all’alimentari: non c’era un’enorme scelta e l’arabica era quella più profumata e venduta.
A fine 800, le industrie caffettiere si sono concentrate nelle città di mare, vicino ai porti nei quali arrivavano i carichi da Cuba, dal Brasile, dal Venezuela e dalle Indie Orientali Olandesi che avevano soppiantato l’importazione dalla terra di origine: l’Etiopia.
Raro e costoso fino al 1700, diventò, successivamente e con lo sfruttamento della manodopera in schiavitù, il preparato per la bevanda più popolare nel mondo. In due secoli, dal 1800 al 2000, la produzione si è moltiplicata di quasi 90 volte. Ancor oggi è il prodotto maggiormente commercializzato, si dice secondo solo al petrolio. Nel mondo si consumano 400 miliardi di tazzine all’anno, pari a circa 12.000 al secondo.
Alla turca, alla francese, americano, espresso e, in Italia, con la moka. La moka, conosciuta da tutti come “Bialetti”, dal nome del suo ideatore, soppiantò la caffettiera inventata quasi cento anni prima da un francese: monsieur Morize.
Alfonso Bialetti (1888-1970 ) la innovò rendendola di più facile e veloce utilizzo, limitandosi allo studio tecnico della sua funzionalità ed efficacia senza applicarla all’uso di una particolare miscela o consigliare l’utilizzo di una particolare marca di caffè.
In quegli anni, il prodotto era solo tostato e macinato. A Trieste, così come a Genova ed in altre città di porto, le torrefazioni aumentavano e con esse aumentava la concorrenza. Bisognava distinguersi; bisognava innovarsi. Nel 1939 Illy lo mise in barattolo e successivamente investì nell’immagine e nel design senza mai perdere di vista la qualità del prodotto. Rilanciò il modello “caffetteria all’Italiana” e lo declina in chiave contemporanea esportando i suoi punti vendita in tutto il mondo.
Un recente rapporto di EFSA (European Food Safety Authority) sulla caffeina, evidenzia che “un’assunzione moderata, pari a 400 mg di caffeina al giorno (circa 4-5 tazzine ), è sicura nella popolazione adulta se è parte di una dieta sana ed equilibrata e di uno stile di vita attivo”.
Numerosi studi scientifici indicano i benefici del caffè sulla nostra concentrazione mentale, sulle sue proprietà nella prevenzione e protezione nei confronti del diabete di tipo 2, della malattia di Parkinson e di alcune problematiche cardiovascolari.
Una tazzina di caffè contiene solo 1 caloria, 0,07 grammi di proteine, zero grammi di zuccheri e carboidrati, 0,11 grammi di grassi, zero colesterolo, 8 milligrammi di sodio e 68 di potassio.
Quanto detto sopra, è riferito ad una tazzina di caffè prodotta con una miscela del tutto naturale a seconda dei metodi, degli usi e delle culture dei territori, per l’infusione o per percolazione, come nel caso della moka.
Purtroppo, anche nel caso del caffè, c’è stata una sorta di innovazione senza progresso e nel 1986 la Nestlè mette in commercio la prima macchina Nespresso, puntando, per il lancio, su Svizzera e Italia.
Bel design, un volto cinematografico internazionale per la pubblicità, un messaggio che illudeva di farti portare a casa, oltre a esclusività e lusso, un vero caffè espresso. C’ero cascato pure io!
Piano piano, questo oggetto di culto e le varie repliche ed imitazioni sono entrate in quasi tutte le case degli italiani, relegando l’omino coi baffi all’angolo della dispensa.
Visto il costo o per semplice comodità, le capsule Nespresso vengono, in molti casi, sostituite da quelle compatibili. Lo status symbol è la macchinetta, non la capsula e il suo contenuto. Sia che siano originali o compatibili, le capsule rilasciano un caffè schiumosetto e un po’ pastoso e patinante che ti lascia, in molti casi, sul palato la sensazione che si ha dopo aver assaggiato un dolce alla margarina.

Leggo un testo redatto dal “Mouvement pour la Terre” nel quale si dice che una capsula di allumino contiene 4 grammi di caffè: 4 grammi di caffè a 0,40 euro, fanno 100 Euro al chilo.
Leggo che per una tonnellata di alluminio vengono prodotte quattro tonnellate di residui sotto forma di arsenico, titanio, cromo, piombo, vanadio, mercurio: sostanze che vanno ad inquinare l’ambiente.
Leggo che il caffè in essa contenuto è quello che costa di meno.
Leggo che le polveri tradizionali vengono torrefatte a 200/220° in 20 minuti ma che per risparmiare, accelerare ed aumentare la produzione, la torrefazione del caffè di molte capsule avviene a 1000°C per 90 secondi.
Leggo che il caffè è schiumoso e buono semplicemente perché non c’è solo caffè ma anche un po’ di grasso animale ed additivi top secret.
Leggo, in più, che le macchine che vengono utilizzate hanno enormi costi economici ed ambientali per la loro produzione e per il loro smaltimento.
Leggo e mi chiedo se sia vero che, oltre alla caffeina, si ingerisce anche furano.
Il furano è una sostanza organica (prodotto intermedio utilizzato nell’industria chimica come solvente per le Resine durante la produzione di lacche e come agglomerante nella fonderia).
È volatile, lipofilo e cancerogeno per il fegato.
Che sia vero? Ma io sto tranquillo perché, già da tempo, ho rispolverato il mio omino coi
baffi!