valore del cibo

Il valore del cibo: impariamo a rispettarlo

Il valore del cibo, già….
Da una recente ricerca segnalata da Food Beverage Insider è emerso come il 56% dei consumatori di prodotti alimentari ponga maggiore attenzione sull’origine, sulle proprietà nutritive e sui metodi di lavorazione e conservazione degli stessi evidenziando la preferenza per alimenti e bevande trattati con metodi biologici e distribuiti in assenza di conservanti: se ne parla da tempo. Altre fonti, sempre americane, sostengono che torneranno di moda i sapori del passato e, anche in questo caso, non era necessario scomodare ricercatori e scienziati per intuirlo.

Sebbene si parli di notizie provenienti dal mercato americano, incentrate sul valore del cibo, esse sono però applicabili in tutti i Paesi dell’Occidente che per anni, e da anni, si son fatti stregare dal Fast & Junk-Food & Beverage modello USA. Il cibo veloce riempie e costa poco; non richiede concentrazione sull’applicazione del senso del gusto: ti scoppia in bocca in una bomba di glutammato, sale e spezie il cui unico compito è quello di stordire e far ingurgitare senza troppi pensieri riempiendo la pancia.

Stiamo cambiando? Me lo auguro davvero! Parliamo di sostenibilità ormai da anni e mai come negli ultimi tempi, siamo bombardati da profonde riflessioni sul sacrificio richiesto, a noi esseri umani, per attuare questo cambio di rotta. A parole, siamo tutti d’accordo ma quando compriamo un chilo di mele, una dozzina di banane o un ananas sottocosto non ci poniamo il problema di come questo possa essere possibile; fingiamo di non sapere quanto ha guadagnato e in che condizioni ha lavorato chi li ha coltivati e raccolti; fingiamo di non sapere quali agenti chimici siano stati spruzzati sulle piante e sui terreni per aumentare la produzione, insomma non diamo peso al concetto di “valore del cibo”.

Quando andiamo al ristorante, fingiamo di non sapere quanto costino i prodotti che compongono il nostro piatto ne’ quale sia stato il tempo che il cuoco ha dedicato alla loro preparazione. Ignoriamo il tempo e la professionalità che il cameriere sta dedicando al servizio e che il lavapiatti ha dedicato alla pulizia delle stoviglie; fingiamo di non sapere quanto guadagnino e in che condizioni lavorino, insomma il valore del cibo è un’equazione irrisolta.

Eppure, ci lamentiamo quando un piatto di spaghetti al pomodoro costa più di 6 euro o una pizza supera i 10 euro: “cosa sarà?”… “E’ un semplice piatto di spaghetti; è una semplice pizza”. Quando al supermercato vediamo una retina di limoni biologici siciliani, pensiamo siano troppo cari e compriamo quelli a 2 euro al chilo senza porre attenzione a quanto scritto sull’etichetta: buccia non edibile. “Ecchesarà…tanto la buccia  non la mangio”.

valore del cibo

Da qualunque angolazione si guardi, il problema è evidente. Serve riflettere sulle riflessioni e serve farlo profondamente. Se deve esserci un cambiamento lo stesso deve partire dalle fondamenta. Tutti dobbiamo lasciarci consapevolmente coinvolgere con onestà, obiettività e rispetto per calcolare quell’equazione di cui sopra che avrà come risultato il valore del cibo.

Tornando all’America o semplicemente osservando cosa accade in Inghilterra o Francia, ci rendiamo conto che in Italia non vogliamo prendere coscienza sul reale costo-valore del cibo di qualità. Nei Paese che ho menzionato, e parlo per esperienza diretta, troviamo ogni tipo di offerta gastronomica: ci si può sfamare con un Hot Dog da 1 dollaro sulle strade di N.Y. City, a Londra ci si può scaldare e sfamare a China Town per poche Sterline e a Parigi si può mangiare un Kebab per 3 euro guardando la Senna. Quello che è qualità, però si paga e i consumatori locali ne sono ben consapevoli. Un qualsiasi ristorante, al quale in Italia attribuiremmo la classifica di “economica trattoria” si fa equamente pagare sia la materia prima che il costo della manodopera.

Da noi, invece, tutto ci appare troppo caro; partiamo dal presupposto che il ristoratore o il fruttivendolo stiano facendo “la cresta”, ci stiano imbrogliando. Allora andiamo nei supermercati dove il prezzo della frutta e della verdura si perde tra i numeri dei lunghissimi scontrini e dove le super-offerte sottocosto nascondono sfruttamento di manodopera e accelerazioni produttive a scapito di proprietà nutrizionali e gusto.

Compriamo improbabili pesti alla genovese per meno di 7 euro al chilo, barattolo ed etichettatura compresa, senza considerare che un buon basilico costa dai 4 agli 8 euro al chilo, a seconda della stagione, che i pinoli italiani possono arrivare a 100 euro al chilo contro i 15/20 di quelli cinesi, rumeni o pakistani, che un discreto olio di oliva meno di 5 euro al litro non si può pagare e che un salario orario “dignitoso” non dovrebbe scendere sotto gli 8 euro netti all’ora.

Siamo il Paese del “là la pizza è cara”, del “il pesce era buono ma è costato più dell’oro”, del “10 euro per una bottiglia di vino?” e poi, ogni giorno spendiamo 3 euro per un cappuccino ed una brioche ricca di grassi animali e conservanti o, peggio, 40 centesimi per una capsula da 5 gr. di caffè (…ma questa è un’altra storia) arricchito con emulsionanti per donargli quella schiumetta che ci piace tanto.
Sarebbe bello imparare a capire quale sia il vero valore del cibo…

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