Cucina Italiana

La cucina popolare Italiana: conserviamone le tradizioni!

La Cucina popolare italiana

…era il 2018 quando il MiBact, Ministero dei beni delle attività culturali e del turismo, forse sulla scia del successo e del positivo clamore dell’Expo di Milano di qualche anno prima, annunciava che sarebbe stato l’anno del cibo italiano. “Un’occasione importante per mettere a sistema le tante straordinarie eccellenze e fare un grande investimento per l’immagine del nostro Paese nel mondo”.

La Cucina italiana è, da sempre, la più apprezzata in tutto il mondo. Alla base, oltre alla creatività proposta, nel tempo, da grandissimi cuochi, ci sono materie prime d’eccellenza che trovano nei nostri splendidi territori l’habitat ideale, grazie al clima favorevole e alle diversità geofisiche.

Sono cresciuto in una famiglia di appassionati al cibo: mia nonna materna era la cuoca del ristorante di famiglia a Venezia; anche dopo essersi ritirata, la cucina de La Piccola Taverna ha continuato a vivere tra le mura domestiche. Sono cresciuto con i piatti della tradizione veneta, della cucina italiana con i gusti autentici dei prodotti di stagione; fin da piccolo riuscivo a comprendere la differenza tra un rombo di mare e uno di laguna, prediligendo, tra i due, quest’ultimo; mentre l’aiutavo in cucina, assaggiavo e fissavo nella memoria sapori e consistenze. Mio nonno era un viaggiatore di professione: era Maestro di Bordo nella grande compagnia di navigazione Adriatica. Le sue esperienze di viaggio ed i contatti con il bel mondo dell’epoca, lo avevano arricchito di un bagaglio culturale e gastronomico che, sapientemente e appena poteva, trasmetteva a moglie, figli e chiunque volesse, con entusiasmo, condividerlo.

Cucina Italiana
Daniele Del Zotto durante un corso di cucina italiana a Kandy , Sri Lanka

Ho vissuto in diverse regioni d’Italia, in Inghilterra, in Francia e Spagna; anche grazie al mio lavoro, sono venuto a contatto con gusti e tradizioni di cucine di tutto il mondo che mi affascinano e incontrano, quasi sempre, il mio gusto, ma mi sono sempre battuto per tenere alta la tradizione della cucina italiana, del mio Paese.
Ho partecipato a scambi culturali gastronomici, confrontandomi e scambiando tecniche e ricette con cuochi di tutto il mondo; ho insegnato la corretta preparazione della pasta con i broccoli in Israele e quella alla carbonara nello Sri-Lanka accorgendomi che se per noi italiani sono piatti banali e di facile realizzazione, per questi popoli non lo sono affatto. Ho partecipato a corsi di cucina etnica in improvvisati laboratori in Asia e Sud America e non ho mai perso l’occasione per dedicare tempo a chi, nel mondo, volesse imparare, nel rispetto della nostra tradizione, a cucinare italiano.

Il cibo, oltre ad essere un tratto distintivo della cultura e della tradizione dei popoli, è anche terreno di sperimentazione. Da qualche tempo, i cuochi italiani, da sempre perlopiù fedeli alla cucina locale, stanno prendendo un’altra strada: quella più elaborata e meno tradizionale di una cucina che vuole distinguersi e vincere sulle altre proponendo accostamenti di gusti e consistenze talvolta bizzarri; cuochi che interpretano la moda della cucina fusion; grandi chef che scompongono quello che per tradizione è composto e viceversa.
Anche noi siamo complici di tutto questo: spinti dalla curiosità e dalla globalizzazione, ci stiamo sempre più spingendo all’utilizzo di prodotti esotici e ormai, nei supermercati, troviamo interi reparti dedicati a prodotti internazionali, dall’Asia al Messico; il cous-cous, il riso basmati e il curry sono ormai in quasi tutte le nostre dispense e ci siamo abituati al loro gusto.

Ma chi cucina i piatti popolari italiani? Spesso, l’opinione pubblica attribuisce un valore negativo al fenomeno dell’immigrazione che viene vista come un’invasione che ci sottrae lavoro e civiltà. Osservando da vicino l’andamento occupazionale nel settore della nostra ristorazione, in particolare quello delle cucine delle grandi città, si scopre che un’altissima percentuale di addetti alla preparazione del cibo di pura tradizione italiana è di altra nazionalità. Sembra che i giovani italiani non vogliano più avvicinarsi a questo mestiere e, quando lo fanno prediligono esperienze in cucine dove l’ibridazione della cucina moderna sta soppiantando i gusti puri della cucina mediterranea.

Cucina Italiana
Damian Ranasinghe, imprenditore dell’anno 2015

E’ quindi grazie agli immigrati egiziani che vengono sfornate pizze Margherita e grazie a volenterosi ragazzi del Bangladesh che fritture miste e spaghetti alle vongole continuano ad essere serviti nelle trattorie dove, un tempo, lavoravano paffute cuoche locali. Sono grato a questi uomini e donne che facendo di necessità virtù, hanno imparato le tecniche di lavorazione e cottura degli alimenti dell’Italia e, in alcuni casi, hanno, a buona ragione, colto l’opportunità per avviare fiorenti attività nel loro Paese d’origine, come nel caso di Damian Ranasinghe, giovane immigrato di seconda generazione, che ha aperto i suoi ristoranti italiani a Genova, Milano, Praga, Mosca e Londra. Dopotutto, alcune delle più importanti tradizioni italiane sono state portate al mondo intero da stranieri: basti pensare a Pizza Hut per la pizza e Starbucks per il caffè espresso.

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Da recenti statistiche, risulta che il 58% degli italiani si considera un appassionato di cibo, ben il 24,8% si dichiara un intenditore e l’8,1% è convinto di essere un grande esperto in materia. Solo al 9,1% non si interessa la gastronomia. Sono dati molto interessanti che mostrano come il cibo abbia riconquistato importanza culturale.

Il cibo è un argomento che ci unisce e appassiona; sulla cultura della tradizione dello stesso, però, si investe ancora poco tempo e le risorse didattiche pubbliche per acquisire maggiori conoscenze e padronanza tecnica sono assai scarse.

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