Una domenica che tinge l’Europa di Azzurro e scatena la gioia di coloro che seguono lo sport italiano. Dalla magistrale prova di Matteo Berrettini a Wimbledon, dove si arrende a un mostro sacro, il #1 al mondo Diokovic, all’arena di Wembley dove i maestri del calcio (secondo loro) sbagliano miseramente lo slogan: “it’s coming home”, perché in realtà, se fossero stati più attenti avrebbero dovuto scrivere Rome, non home! Cosa significa una lettera…

Il risultato è che oggi l’Italia è campione d’Europa dopo aver battuto una troppo sicura di sé Inghilterra, come nella Coppa America trionfa sui maestri Brasiliani, pentacampeon del mondo, l’Argentina. I cugini di oltre Atlantico, insomma gli “underdog”.
Doveva andare così, e l’11 luglio 2021 resterà nella storia dell’Italia dello sport come una giornata memorabile, come lo rimase lo stesso giorno del 1982, quando la nazionale di Bearzot divenne Campione del Mondo!

Il prologo: un Matteo Berrettini che strappa magistralmente un set a Novak Djokovic, ma non gli basta per avere la meglio sulla “macchina da tennis” serba. Ma aiuta ad infiammare l’Italia che aspetta le 21. Bravo questo giovane tennista che regala la prima finale della storia del prestigioso torneo sull’erba all’Italia. Non ce la fa a vincere, ma l’avversario “è come se giocassero in due”.
E’ solo l’aperitivo perché il piatto forte è la finale di Wembley, il tempio londinese quasi al massimo della capienza, con una percentuale ridicola di tifosi italiani ammessi contro la stragrande maggioranza di inglesi.
Ma i meme che girano in rete la dicono lunga sul tifo mondiale e da che parte stia.
Sorvolando sulle varie manifestazioni dedicati all’antirazzismo, che dovrebbe essere alla base del vivere civile senza manifestazioni plateali, come magliette che lasciano il tempo che trovano o inginocchiamenti che nulla hanno a che fare con lo sport, perché è un valore non da “mostrare” ma da“praticare”, la tenzone è pronta a divenire più che mai “singolar”.
L’avete vissuta tutti, la partita: una doccia gelata a 2.18 del primo tempo, su una disattenzione macroscopica della difesa e il tiro della vita di Shaw (che se lo rifà mille volte lo sbaglia 999). Poi 65 minuti di pathos e un inserimento a rimorchio di Bonucci che insacca al 67° nella confusione in area il gol del pareggio. Poi i supplementari e finalmente i rigori dove il miglior portiere del mondo, Gigio Donnarumma con la complicità dei piedi quadrati di un inglese, Marcus Rashford, e due parate colossali, manda gli albionici a meditare sulla loro spocchia negli spogliatoi con la medaglia di “consolazione” che poi non apprezzano neppure tanto, togliendola appena messa, dimostrando che il fair play è cosa che non appartiene loro, o meglio, solo a parole. 4-3 il finale come la leggendaria Italia Germania al mondiale messicano, 1970.
Giustizia (sportiva) è fatta, ma soprattutto il nostro paese ha finalmente una nazionale degna di questo nome, come quelle del 1934, 1982, 1990, 2006 con un tecnico che non fa stupidaggini, Roberto Mancini, uno staff dove compare un gigantesco Gianluca Vialli, e una squadra senza star, senza strapagati numeri 9, che devono giocare per forza anche se non in forma o acciaccati e un gruppo che è più forte di tutto e di tutti.
Troppo si è parlato del fair play britannico; peccato che ieri sera sia stata la dimostrazione che è un sentimento di superiorità solo se vinci, da elargire ai perdenti, a mò di accondiscendenza e che quando predi, inglesi compresi, a volte dimostri di scordarlo. Forse lo siamo più noi, bistrattati italiani, fair player…
Per non sottolineare i fischi all’indirizzo dell’Inno di Mameli, una bella dimostrazione di hooliganismo insito nel dna, ma, come si sa, la vendetta è un piatto che va servito freddo.
Ed ecco allora il web scatenarsi in mille e mille meme di ogni tipo, che però strappano ben più di un sorriso. E questo, siccome stavolta siamo noi i vincenti, ci piace.

Non è bello infierire, ma se gigioneggi è quel che ti meriti. Dall’auspicio del National giornale indipendentista scozzese, che paragona Mancini a William Wallace (Braveheart) “Save us, Roberto, you’re our… final hope” (“Salvaci, Roberto, sei la nostra… ultima speranza”) alle varie apparizioni della graziosa maestà Elisabetta II, con o senza James Bond. Dalle più delicate battute alle più trucide, ma efficacemente incentrate sul dileggio verso la spocchia albionica.

CI sarebbero tantissime altre considerazioni da fare, sulla correttezza del tifo britannico, che non solo ha fischiato l’inno ma ha bruciato bandiere, picchiato connazionali, o sul comportamento dei giocatori, che si sono addirittura tolti la medaglia appena ricevuta, in segno di spregio per lo sport che, oltre ad arricchirli a dismisura, dovrebbe insegnare loro qualcosa sui valori etici.
Un esempio da seguire Luis Enrique e la sua Spagna, davvero impeccabile nel fair play.
La grandezza, di una squadra sta nell’accettare la sconfitta, perché se non sei in grado di farlo, non saprai mai vincere.
I veri vincenti sono quelli che sono passati dalla sconfitta e hanno saputo accettarla.
La boria, la spocchia, l’autoreferenzialità, l’arroganza dimostrata dai sudditi di sua Maestà, sia in campo che fuori, come si è visto, sono andate poco lontane.
Insomma una vittoria che ci fa dimenticare per un poco i problemi, gravi, in cui ci dibattiamo, che ha anche “stanato” il presidente Mattarella sugli spalti di Wembley a…tifare (?) Italia, prima che l’ultima parata del gigante, miglior giocatore del torneo Donnarumma, ci regalasse questo importante e meritato trionfo.
Ma attenzione: c’è un insegnamento in tutto questo che, non so se volontariamente o meno, Roberto Mancini e i suoi ragazzi ci hanno trasmesso: uniti, gli italiani, possono fare tutto. Cerchiamo di non dimenticarlo. Mai!
