turismo enogastronomico

TURISMO ENOGASTRONOMICO: POTREBBE SALVARE L’ITALIA?

Il turismo enogastronomico e la salvezza dell’Italia: il Ministro Garavaglia, in visita ad una degli innumerevoli eventi dedicati al cibo italiano, ha discusso con il presidente di Slow Food, Carlo Petrini e il direttore di Repubblica, Maurizio Molinari, il legame tra buon cibo e ripartenza turistica. Ancora una volta la politica tenta di utilizzare la cultura gastronomica italiana per generare ricadute economiche nel Belpaese.
2021, sarà la volta buona ?

A Bra, in provincia di Cuneo, si è chiusa ieri la tredicesima edizione di Cheese, la manifestazione internazionale dedicata alle varie forme del latte. Oltre alla Regione Piemonte, i partner e gli sponsor erano importanti nomi dell’economia italiana ma tra tutti spicca il famosissimo brand di Petrini: Slow Food.

Personalmente ammiro Slow Food che seguo dai suoi esordi e l’escalation imprenditoriale messa in atto dalla vulcanica mente di Petrini. Grazie a lui, oltre alla pasta e alla pizza, sono arrivati sulle tavole di tutto il mondo alimenti e materie prime che fino a pochi anni fa si fermavano non solo in Italia, me nei confini di ogni singola Regione. Oltretutto, cosa assai importante, da Eataly i prodotti rispettano esattamente il gusto e l’aspetto degno delle migliori gastronomie italiane, portando un notevole beneficio attraverso il turismo enogastronomico.

E’ indubbio che Eataly, più che ogni altra azione di Slow Food, abbia contribuito a migliorare l’idea di cucina italiana nel mondo, incentivando anche i piccoli ristoratori di Little Italy a rivedere i loro standards qualitativi dando vita ad un turismo enogastronomico italiano all’estero.

turismo enogastronomico
Slow food

Esistono, però, molte altre realtà che, quasi in sordina, hanno e stanno contribuendo a migliorare il concetto di cultura gastronomica italiana nel mondo. Alcune sono dedicate alle eccezioni del nostro territorio ma, pur molto frequentate da addetti del settore, non riescono ad imporsi attirando il turismo degli appassionati del cibo italiano che, per diretta esperienza, posso dire siano moltissimi.

Un piccolo ma significativo esempio di turismo enogastronomico è dato dal flusso di turisti francesi che avevamo, in un relais con ristorante stellato, in Italia, al di là del confine alpino, che ho diretto per un periodo; quando chiedevo loro perché avessero scelto l’Italia visto che in Francia, a pochi chilometri, potevano godere di infrastrutture a volte anche migliori, la risposta era sempre : “mais bon, pour la  nourriture!” (ma è chiaro, per il cibo!) il che, detto da un francese, è tutto dire!

Tornando a Cheese e ai buoni propositi scaturiti spicca tra tutti la dichiarazione del Ministro Massimo Garavaglia che ha annunciato che “per la prima volta l’Italia si doterà di un piano per il turismo enogastronomico” ricordando che “per vincere la sfida che ci attende, cioè guadagnare nuove quote di mercato (turistico n.d.r.), è sufficiente organizzarsi meglio, mettere a sistema le risorse. Occorre far conoscere le ricchezze di cui disponiamo”.

Parole sante, ma ormai oltremodo inflazionate!  Era il 1997 quando elaborai uno dei miei primi documenti di rilancio per una nota località turistica e il turismo enogastronomico era l’asset principale. Nei 24 anni successivi, il tema è ritornato ridondante ed è ancora cavalcato da chiunque voglia guadagnare consensi politici. Il problema è che i vari annunci e promesse finora ventilati non hanno quasi mai avuto seguito e sostegno dai nostri governi, in poche parole, manca il seguito, il follow-up come direbbero gli anglofoni. Alle parole, devono seguire i fatti! In questo caso viene annunciato l’ennesima promessa di dotare l’Italia di “un piano per il turismo” ma non ne vengono descritte le direttrici.

Forse, in aiuto di tutto ciò, vorrei ricordare che esiste già un “piano per il turismo enogastronomico” istituzionale: la settimana della cucina italiana nel mondo. Questa manifestazione è un “patto tra le Istituzioni e il mondo della cucina italiana di qualità, un’azione di squadra, di sistema per lavorare meglio sulla valorizzazione del Made in Italy agroalimentare”. Il progetto, come si legge nel sito Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, è ideato e coordinato dalla Direzione Generale per la Promozione del Sistema Paese della Farnesina; è sviluppato all’interno di un gruppo di lavoro che coinvolge istituzioni centrali, enti territoriali, attori pubblici e privati, filiere produttive e mondo accademico-scientifico. E’ un vero Food Act (ancora un inglesismo) come battezzato dall’allora ministro delle politiche agricole alimentari e forestali Maurizio Martina.

Purtroppo, la promozione dell’evento che giungerà alla sua sesta edizione il prossimo novembre 2021, non è ancora stata attivata. Sul sito del MAECI, nella sezione dedicata alla settimana della cucina italiana nel mondo “The Extraordinary Italian Taste”, non c’è alcun riferimento alla prossima edizione e questo è un vero peccato perché quest’anno, grazie all’idea e soprattutto all’organizzazione di Antonella Bondi, l’evento denominato Cacio e Pepe, il 20 e 21 novembre, arriverà in Giappone coinvolgendo alcuni dei più importanti nomi della gastronomia italiana e un testimone d’eccezione: Giorgio Armani.

Penso che sia inutile riempire i cassetti di progetti se poi non c’è la forza o la volontà di metterli in atto. Questo, naturalmente, vale per tutto ma nel comparto turistico questo accade con maggior frequenza. Il termine propaganda non mi è mai piaciuto ma in questo caso, ritengo che sia, ancora una volta, molto appropriato.

Dunque, in risposta all’ennesima promessa politica, replico che a volte basta essere più attenti e guardarsi intorno; vedere quanto già esiste e cercare di dare sostegno a quanti, in forma privata, già da tempo si fanno ambasciatori della cultura della nostra stupenda Nazione. Anche il piccolo ristoratore che fa le cose per bene, rispettando i prodotti del suo territorio e la loro lavorazione è un catalizzatore di turismo. Anche il piccolo negozio di specialità alimentari che cerca di resistere all’interno di uno degli innumerevoli borghi storici italiani è un’attrazione turistica. I prodotti e soprattutto la gentilezza e il saper fare di noi italiani è da sempre un valore aggiunto alle risorse gastronomiche e paesaggistiche del Belpaese.

E chiamiamolo formaggio e non cheese! Quando dico cheese mi viene in mente solo il cheddar. L’Italia ha ben 487 tipi di formaggio e i nostri DOP battono quelli francesi 48 a 45! Serve altro, ministro Garavaglia?

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