Leon Hendrix. In the name of Jimi.

Leon Hendrix. Si. L’anagrafe non mente e neppure la genetica visto che le dita corrono veloci quasi quanto quelle del fratello più noto, quel Jimi che è stato e resta leggenda mancina del rock maledetto. Non deve essere facile portare lo stesso cognome e fare lo stesso mestiere. 

Ma la classe, la dignità, la passione per un genere musicale, non si cancellano mascherandosi in uno pseudonimo, partecipando a un talent, facendo altre cose. No. Leon Hendrix ha scelto di suonare, come il fratello Jimi di cui ripercorre vita e morte nel suo libro ‘Jimi Hendrix: A Brother’s Story’ arrivando a sospettare che non si sia suicidato.

Nel corso degli anni, poi, mi sono convinto sempre di più che mio fratello sia stato ucciso” scrive nelle pagine della biografia. “In certi ambienti era malvisto, qualcuno non aveva gradito la sua interpretazione dell’inno nazionale, ma bastava tutto ciò per uccidere un uomo? Credo di no. Mio fratello è stato ucciso da una macchina infernale, da un sistema corrotto. I suoi assassini sono stati molteplici: i giornalisti assillanti, i manager avidi, l’opinione pubblica, i fans, le groupie, i debiti e le cause legali.

Il libro però, ha subito lasciato il posto alla musica, al percorso lungo gli anni di un’epoca che come fotografata in bianco e nero tra le pieghe del libro dei ricordi, in una memoria storica collettiva che anche chi non ha vissuto conosce almeno per “sentito dire”.

Ieri sera, a Mondovì, alle Officine Amis, Roberto (autore del libro Hendrix ’68 The Italian Experience) ha introdotto la Feliciano band (Fulvio Feliciano chitarra e voce, Marco d’Angelo basso e voce, Pino Liberti batteria) che accompagna Leon Hendrix nel breve tour italiano in tre date del In the name of Jimi”. Poi a metà serata è salito sul palco Leon. 

Le Officine Amis non sono lo stadio Meazza, ma l’atmosfera era da pelle d’oca più che in tanti concerti visti nel tempio del calcio e della musica. La batteria essenziale, il basso Fender Jazz, le chitarre elettriche con distorsore e pochi effetti. 

Sembrava di essere tornati indietro in un tempo magico e proiettati in un futuro che ci piacerebbe potesse riservare ancora questa musica al posto di sintetizzatori ed effetti speciali, voci corrette da autotune, figure patinate da hair stylist più adatte a far innamorare le ragazzine che a produrre musica accettabile.

Leon Hendrix. Il vero rock in un tour tributo.

Leon Hendrix ieri sera ha fatto il miracolo. Ha ripercorso i passi del fratello di cui ascoltava la musica al telefono mentre era in tour, ne ha celebrato la musica fatta di fraseggi blues in pentatoniche maggiori e minori, accordi in nona e nona#, distorsioni, Larsen. 

Come in una scatola magica, il tempo era cristallizzato indietro di 50 anni, tra psichedelia e rock vero. Drain, il chitarrista leggenda amico di Jimi, dice che la muisca di Leon “illumina l’origine e il significato delle melodie classiche di Hendrix”. Le luci acide, il suono forte, nessun ammiccamento a mode, palchi con schermi su cui corrono videoclip. Solo pura musica. 

I musicisti affiatati, nessuna backline a cambiare o accordare le Stratocaster in scena …lo facevano i chitarristi il cui orecchio e l’abilità permetteva di riconoscere il cambio di tensione delle corde.

Ieri sera alle Officine Amis, il rock ha avuto il suo tributo. Il concerto, cominciato molto più tardi delle classiche 21 che permettono anche ai bambini di assistere a performance di finte rock star costruite a tavolino, era per chi ama la musica. Senza effetti in cui è più importante il produttore e il sound engineer. Era una serata di energia e orgoglio. In the name of Jimi. In the name of Rock. 

La fotogallery della serata è a cura di Renata Roattino @Jhonninaphoto

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