Avevamo già parlato del monopattino, quale mezzo che contribuisce a snellire il traffico, grazie alle aziende di sharing. In sé, il monopattino è un mezzo intelligente ma, purtroppo, spesso accade che chi non lo è, sia colui che lo utilizza.
Nel panorama delle aziende dalle diverse dimensioni, che operano nelle grandi città, circa una quindicina, c’è grande preoccupazione per le novità incluse nelle nuove norme del Codice della Strada.
Ne parliamo con Andrea Giaretta, VP for Southern and Western Europe and Middle East di Dott, l’azienda leader in Italia ed Europa che si è recentemente unita a TIER.
Ma chi è Dott nel mondo dello sharing?
Con dieci milioni di utenti attivi nel 2023 e una flotta di 250mila veicoli, Dott è ora uno dei maggiori operatori della micromobilità condivisa con 427 città di 21 Paesi attive in Europa e Medio Oriente. Dal lancio di TIER e Dott nel 2018, gli utenti hanno effettuato 380 milioni di viaggi.
In Italia sono 20 città con una flotta di circa 15.000 veicoli (9.000 monopattini + 6.000 biciclette a pedalata assistita) presenti a Roma, Milano, Monza, Varese, Area Metropolitana di Torino (Torino, Collegno, Moncalieri, Rivoli, Nichelino), Verona, Padova e Noventa Padovana, Ferrara, Palermo, Catania, Bari, Modena, Reggio-Emilia, Arezzo e Trento.
È un servizio importante che comporta anche ingenti investimenti, che ora rischiano di essere vanificati, oltre a circa 2500 posti di lavoro dell’indotto, per una serie di provvedimenti presi dall’Autorità non del tutto in linea con la realtà delle cose.
«Nelle grandi città si sono sviluppati “business” di sharing che hanno certamente dato un impulso alla mobilità, ma ora, purtroppo, ci troviamo di fronte ad un giro di vite che a nostro avviso – spiega Giaretta – è più un coacervo di provvedimenti propagandistici che di efficacia certa. Abbiamo provato a spiegare al Ministro che la legge 156 del 9 novembre 2021 aveva ampiamente regolamentato il settore, tanto che la mortalità era scesa a “zero”, completamente azzerata, per quello che attiene i mezzi in sharing. Ci tengo a precisare che l’attività che esercitiamo è fortemente monitorata, pertanto, al massimo, la cosa fattibile sarebbe l’applicazione e l’utilizzo di un contrassegno per identificare ulteriormente i veicoli o comunque adoperarsi per far rispettare le norme che già esistono e che sono ben codificate».
Ma cosa prevede di così “maldestro” il nuovo codice che va a colpire lo “sharing”?
«La prima cosa che mi viene in mente – prosegue Giaretta – è che tutto questo si discosta dalla realtà, venendo proposto in maniera molto “social” ma dalla difficile applicabilità pratica. Prendiamo ad esempio la norma che obbliga a superare un mezzo come il monopattino a 1.5 metri di distanza. Come la applichiamo o la verifichiamo? E in città significa che fra la distanza di sicurezza, quella dal lato della strada e l’ingombro dell’auto, ci dovrebbero essere oltre 4 metri di “impegno”…è qualcosa di possibile in città?
Secondo punto, l’assicurazione RC che non è applicabile, con il criterio dell’auto, al monopattino. Secondo l’articolo 2054 del Codice Civile si può applicare a mezzi con numero di telaio e iscrizione ad un pubblico registro, cosa che non esiste per i monopattini o i velocipedi in generale. Anche una sentenza della Corte Europea dice che non si può applicare l’assicurazione RC auto a questi mezzi, e quindi?».
L’azienda ha già adottato l’assicurazione RC, ma al conducente, ex art. 2043, per cui viene richiesto qualcosa che non solo già esiste, sotto altra natura, ma è, de facto, inapplicabile.
«Il tema del casco è un altro assunto fondamentale – aggiunge Giaretta – ammesso che chi guida non sia “schizzinoso” (indossare un casco già utilizzato da altri in precedenza…), ma il casco dove lo si mette? Il monopattino per sua natura non ha una sella sotto la quale metterlo e quindi? Il guidatore dovrebbe portarlo da casa? Sono tutte cose cui non ha pensato il legislatore, ancorché le nostre istanze siano arrivate al ministero ma, evidentemente, sono restate del tutto inascoltate».
Va da sé che penalizzando in questa maniera eccessiva le aziende “responsabili” si alimenta il mercato della “zona grigia” dei privati che utilizzano il monopattino senza regole né controlli, per arrivare al paradosso di Parigi, ad esempio, che dopo aver bandito i monopattini in sharing ha fatto registrare un aumento del 36% di mortalità su quelli privati utilizzati con modifiche e zero controlli e monitoraggi, come invece vengono effettuati dalle aziende di sharing come TIER Dott.
Insomma il solito pasticcio all’Italiana, che finirà per essere ribaltato sulle spalle dei sindaci che dovranno mediare e capire come risolvere una questione già viziata in partenza.
«4 leggi per regolamentare il settore in 5 anni ci paiono davvero troppe – conclude Giaretta – credo sarebbe sufficiente far rispettare le norme attive dal 2021 perché un importante metodo di alleggerimento del traffico cittadino possa aiutare a risolvere il problema comune a tutte le grandi città. La sovralegislazione non fa bene a nessuno e soprattutto, credo, siamo tutti concordi che questo apparente giro di vite non farà che agevolare la latente pericolosità dei mezzi che quando sotto la nostra giurisdizione sono, invece, strettamente regolati, con la forzata diminuzione della velocità nelle zone limitate, le ruote più grandi, il limitatore di velocità, due impianti frenanti e tanti presidi di sicurezza, compreso il monitoraggio del parcheggio. Se lasciata ai singoli la “questione monopattini” non sarà di certo facile da gestire e diverrà sempre più complicata».
Insomma stiamo assistendo ad un caso classico di “come creare un problema da una opportunità di soluzione”… e di solito dovrebbe funzionare al contrario.
massimo terracina