Neuromarketing: parola nata dalla crasi di “neuro scienze” e “marketing”.
C’era una volta l’indagine di mercato. Posizionamento di marchio, di prodotto, etichette, stimoli all’acquisto venivano decisi in base a indagini, effettuate su ampi campioni di persone, le risposte delle quali però non erano del tutto appaganti, al fine della ricerca.
B side, una start up bolognese, ha introdotto un nuovo metodo basato sulle attività di neuromarketing, Cosa sia il neuromarketing, è cosa abbastanza comprensibile: si utilizzano le conoscenze che derivano dalle neuro scienze, applicandole attraverso una serie di strumenti agli stimoli relativi degli individui campione, ma in maniera inconscia.
Questo dà un grande vantaggio ai ricercatori perché è la lettura di uno stimolo “puro”, la prima reazione che viene alla vista di qualcosa.

Abbiamo provato personalmente questo metodo che riduce ampiamente la campionatura dei partecipanti ai test, facendo leva sull’inconscio del soggetto esaminato proprio attraverso le stimolazioni neurali. Un metodo che con una trentina di tester arriva a dare risposte esaurienti.
Tutto ciò si adatta, ad esempio alla scelta del “logo” di un prodotto.
«Oggi, con gli strumenti in nostro possesso, non possiamo basarci sulla classica domanda ”ti piace o non ti piace” – spiega Elena Sabattini, ceo di questa start up – è un approccio ormai obsoleto che porta con sé un grande margine di errore. Le ricerche nel campo degli stimoli da parte delle neuro scienze danno sempre più spazio alla scelta ricavata attraverso una ricerca di neuromarketing. Cosa significa? Attraverso specifici strumenti si ottengono evidenze misurabili che permettono di testare la reazione spontanea e non conscia dei consumatori di fronte ad un’immagine, logo, prodotto».
È il caso del neonato B Side, laboratorio di neuromarketing che ha testato proprio sul proprio logo le risultanze di queste analisi: è stata effettuata una ricerca da cui è emerso che tra i 10 loghi proposti, il 58% ha apprezzato il logo blu di Bside inconsapevolmente, contro il 37% che lo ha scelto dichiarandolo nel questionario scritto, quale controprova parallela.
Oggi le ricerche scientifiche ci dicono che il primo dato è quello attendibile.
«Abbiamo usato una metodologia più profonda – prosegue Sabattini – per primo l’Eye Tracking per misurare l’attenzione visiva spontanea all’oggetto dell’esame. Poi un EEG (elettroencefalogramma) che misura l’impatto cognitivo dato dallo stimolo, per poi passare ad un Questionario finale, cioè una raccolta di risposte razionali, a supporto dei dati biometrici rilevati. Per tutte le alternative di logo proposte, sono state condotte le analisi del comportamento visivo e calcolato gli indici di interesse, di sforzo cognitivo e di memorizzazione».
Risultati soprendenti!
Dall’integrazione dei dati ottenuti con EEG ed Eye Tracking, è emerso che il logo prescelto, nella sua totalità, suscita un impatto positivo in quanto ha ottenuto:
- valore massimo di memorizzazione
- buon valore di Interesse, quindi risulta percettivamente gradevole
- valore minimo di sforzo cognitivo
- alta visibilità di nome e payoff
«Cominciare da una ricerca su di noi – conclude Elena Sabattini – è stata una scelta naturale; siamo alle prese con diverse altre indagini che stanno valutando, per esempio, l’efficacia del sito di un’azienda che produce soluzioni per la gestione dell’acqua e che tra gli obiettivi ha di verificare la fruibilità della nuova soluzione grafica e testare la trovabilità di sezioni e contenuti specifici».
Il neuromarketing è un alleato importante perché supporta le aziende che vogliono indagare l’efficacia dei propri stimoli comunicativi attraverso la misurazione delle reazioni emotive suscitate nel consumatore per prevedere il loro indice di gradimento relativo alla scelta di un prodotto/servizio.
Il marketing prosegue la sua corsa...sempre più sofisticata!