Reza Aramesh

Number 207: le opere di Reza Aramesh presentate nella Chiesa di San Fantin, a Venezia

L’artista britannico di origine iraniana Reza Aramesh torna a Venezia, dopo la presenza al padiglione iraniano della 56° Biennale, con la sua prima esposizione personale, presentata dal curatore newyorkese Serubiri Moses. In concomitanza con la 60°Biennale d’Arte di Venezia Foreigners Everywhere, a cura di Adriano Pedrosa, la mostra è realizzata in collaborazione con la Diocesi Patriarcato di Venezia, la Dastan Gallery di Teheran e Stjarna art.

Reza Aramesh
Number207 Action 245 and 218

L’incontro con gli artisti avviene in un palazzo veneziano, in un salone con soppalco con una splendida veduta sul giardino sottostante: un incontro che permette di conoscere coloro che sono i protagonisti di questo evento. Si parla delle sculture, della location e delle due pubblicazioni di SKIRA Editore che accompagnano Number 207: un catalogo della mostra con saggio curatoriale di Serubiri Moses, e un catalogo ragionato dal titolo “Action: by number“, a cura di Serubiri Moses e arricchito dai contributi di Mitra Abbaspour, Geraldine A. Johnson, Julia Friedman, e Storm Janse van Rensburg, che sarà distribuito da ARTBOOK | D.A.P. negli Stati Uniti, in Canada e nell’America centrale e del Sud, e da Thames & Hudson nel resto del mondo.

Reza Aramesh

La scelta di allestire l’esposizione nella Chiesa di San Fantin a Venezia è sicuramente singolare, ma decisamente azzeccata e motivata.  Spiega Serubiri Moses: «Siamo entusiasti di presentare le opere di Reza Aramesh, la cui esposizione NUMBER 207 posiziona il nuovo corpus di sculture in marmo, basato sull’accumulo di “Azioni”, in stretto dialogo con lo spazio espositivo, la Chiesa di San Fantin a San Marco, fondata nel X secolo con lavori di ristrutturazione nel XV secolo, e la sua architettura ecclesiastica medievale.
Ci interessa anche il fatto che l’Ordine di San Fantin abbia confortato i condannati prima della loro esecuzione, il che ha una particolare rilevanza per il gruppo scultoreo di Aramesh e i suoi precedenti lavori fotografici».

Reza Aramesh
L’artista Reza Aramesh. Foto di Thierry Bal

L’artista Reza Aramesh afferma: «Le opere presentate nella Chiesa di San Fantin provengono da diverse serie avviate a partire dal 2022, che ho scelto di chiamare “Azioni”. Il mio obiettivo per questa mostra è quello di stimolare una conversazione tra la struttura esistente della chiesa e ciò che essa rappresenta, per rivelare nuovi e inaspettati abbinamenti con il mio lavoro.

Fin dall’inizio della mia pratica, più di vent’anni fa, mi sono concentrato su immagini di reportage, per lo più tratte da conflitti in tutto il mondo, per trasformarle in forme scultoree rappresentate attraverso la storia dell’arte dell’Europa occidentale. Le figure che evoco parlano di impotenza; mi interessa come un pubblico possa riflettere su questa condizione, soprattutto quando può scegliere se avere reazioni crudeli o empatiche». 

Come avveniva comunemente nel periodo medioevale, le società cristiane e coloniali condannavano i detenuti a morte. Prima di portare i condannati alla loro esecuzione effettuata in diversi punti di Venezia,  l’Ordine di San Fantin li confortava e li ospitava all’interno della chiesa. Dalle fonti di quell’epoca, l’Ordine indossava abiti neri e aveva, in generale, un aspetto cupo. Questo contesto storico fornisce molta rilevanza e risonanza in relazione alle sculture di Reza Aramesh, che indagano la brutalità della condizione umana.

Reza Aramesh
Number207 Action 245

All’interno della Chiesa troviamo tre serie scultoree realizzate appositamente in marmo di Carrara, estratto dalla Cava Polvaccio, la stessa da cui Michelangelo Buonarroti sceglieva il materiale per i suoi capolavori. L’allestimento in conversazione con l’ambiente architettonico della Chiesa di San Fantin, trova il suo punto focale nella serie Study of Sweatcloth, che si compone di 207 pezzi di biancheria intima maschile a grandezza naturale, scolpiti in marmo di Carrara e disseminati sul pavimento. Un impatto visivo che esprime nella sua totalità il pensiero dell’artista.

Spogliato del corpo, l’umile indumento rappresenta l’ultimo brandello materiale di dignità e autonomia corporea del prigioniero, come testimonianza della sua identità e come simbolo della sua successiva perdita. Nel sottolineare la graduale assenza della corporeità, la biancheria intima attira efficacemente l’attenzione sul corpo come luogo politico. Scolpendo il marmo, un mezzo tipicamente riservato ai soggetti di venerazione o di potere, Aramesh impartisce un senso di permanenza materiale e di integrità alle vite invisibili andate perse nei moderni atti di guerra e di terrore, trasformando la materialità di questi soggetti storici in forme scultoree basate sulla storia dell’arte europea e sull’egemonia della bellezza al servizio del potere.

Reza Aramesh
Il curatore Serubiri Moses. Foto di Marissa Alper

Aramesh fa riferimento per le sue opere a immagini di archivio e reportage di guerra dalla metà del XX secolo ad oggi. L’immaginario moderno dell’artista è reso universale dalla realtà travolgente della guerra e del conflitto, qui intesi come un aspetto persistente della condizione umana. In NUMBER 207, il contesto storico secolare di punizione e riforma nella storia della Chiesa di San Fantin incontra l’immaginario di Aramesh, in riferimento ai prigionieri di oggi e alla loro tortura, in un intenso appello all’umanità e al suo precario equilibrio tra empatia e crudeltà.

Un invito al pubblico a confrontarsi sulle conseguenze della violenza e del potere, sulla condizione umana, accendendo i riflettori  sull’uso della brutalità in un confronto cruciale con la storia dell’arte europea.

elena volpato

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