OK BOOMER. È colpa nostra.
Qualche giorno fa, recensendo Mahmood in concerto, abbiamo osato dire che usa l’autotune. E abbiamo osato citare Morgan che criticava il cantante recente sesto all’Eurofestival. Siamo stati attaccati come giornale su twitter, con una valanga di commenti spiazzanti non tanto per la difesa a spada tratta di un paladino della musica attuale -ci sta- quanto per le argomentazioni.
C’è chi ci ha scritto “articolo di merda”; chi ci ha intimato di “informarci e guardare su YouTube quanto sa cantare” il ragazzo. C’è chi ha scritto “potete anche dire che non vi piace, ma non che non sa cantare”; oppure chi ci ha detto “che ha vinto tantissimo”.
Ora, al di là del fatto che nell’articolo noi come giornale ed io come autore ho citato ogni vittoria e ogni disco dei vari metalli preziosi vinti, quindi qualcosa di documentazione l’avevo cercata, al di là delle considerazioni che ribadisco tutte sul fatto che Mahmood sia un ottimo “prodotto” discografico, uno che vende e piace, uno che fa successo in questo momento, ma nulla più, quello che mi ha più colpito è stato un DM di una persona che mi ha scritto con disprezzo “OK boomer, non capisci un c—o di musica; torna al tuo letargo da vecchio”.
E allora ho guardato i profili di chi aveva scritto, ho cercato di individuare l’età e i gusti di chi avevo così tanto offeso peccando di lesa maestà verso questo gigante musicale. E ho intuito, anche dal DM, che dietro i vari profili ci fossero tanti ragazzi delle etichettate generazioni Y e Z.
Ho visto le facce, i commenti e il loro analfabetismo funzionale che gli impedisce di capire che l’articolo non era totalmente positivo, ma che -voce a parte- riconosceva indubbie doti di “prodotto musicale” al cantante. Un analfabetismo (stimato da Save The Children in occasione del suo evento a Roma “Impossibile 2022“ fino al 50% dei ragazzi di 15 anni – insieme ad altri dati drammatici e purtroppo attuali ed interessantissimi) che porta a non capire cosa si legge, a dover interrompere la lettura per l’urgenza di commentare. E ho pensato alla mia condizione di boomer.
E devo dire che lo sono e lo so: si, sono orgoglioso di essere boomer.
E pur arrabbiandomi quando vengo definito tale da qualcuno, in modo arrogante, spregiativo, mi dico che la colpa del suo atteggiamento è anche mia.
Noi boomers siamo la generazione delle rivoluzioni culturali, siamo quelli dell’aborto e del divorzio, dei diritti civili, siamo stati i primi a parlare di pianeta -magari solo parlarne ma chi è venuto dopo non ha fatto molto di più- siamo quelli del pacifismo. E abbiamo molte colpe se ci etichettano così.
E si, noi boomers ne abbiamo una in particolare: abbiamo consegnato a questa generazione di invertebrati da videogame un mondo senza istruzioni per l’uso.
Non hanno dovuto lottare. Tutto era dovuto. Ci sentivamo in colpa per quanto era successo e stavamo lasciando, e abbiamo trasmesso l’illusione che tutto fosse loro concesso.
E quindi le loro lotte sterili sono belati, non urla di protesta. Non hanno valori, solo mode. Non hanno memoria solo titoli da tweets. Fino a due anni fa l’ambiente e il clima erano il must. Poi è arrivata la pandemia; plastica e mascherine ovunque e nessuno che abbia fatto un fiato per protestare contro questa invasione e nuova proliferazione.
La colpa è nostra: non gli abbiamo spiegato il valore del pensiero coerente, della libertà dall’omologazione.
Libertà per loro è che tutto è giusto, a prescindere. Senza rispetto. Senza avergli chiarito che se loro oggi possono urlarci contro è grazie al lavoro che abbiamo fatto noi, all’agio e alle comodità che abbiamo regalato loro senza fargliene percepire il valore. Che se possono mettersi l’orecchino al naso e lavorare in banca ugualmente, è grazie alle nostre lotte e a quando abbiamo rifiutato l’obbligo della cravatta.
E che se oggi possono dirci “ok boomer” con disprezzo è perché non abbiamo spiegato loro che è un regalo di cui invece dovrebbero dirci grazie.