PERCHÉ NON VIVIAMO DI TURISMO

È un peccato che non saltino come le troupes bulgare o non si buttino come i trapezisti cinesi. Adesso che il Cirque du Soleil ha dichiarato bancarotta, se i nostri politici avessero saputo fare qualcosa d’altro invece che far ridere, almeno li avremmo potuti mandare in giro nelle piazze italiane sperando di fargli raccattare qualche obolo. Invece nulla. Avendo trascorso troppo tempo sugli scranni di Palazzo, sono diventati sedentari, culo pesante e cervello senza riflessi (oltre che senza pensieri). E così ci perdiamo lo spettacolo artistico e ci teniamo quello ridicolo, che è molto diverso dal comico. 

I nostri politici sono riusciti in pochi giorni a distruggere il turismo italiano, a isolare il paese e a creare una nuova classe di scontento popolare: quella dei T.O. e delle agenzie di viaggio, di eventi, di chi forse, magari giocandosi un bonus sufficiente per un paio di pizze, avrebbe provato ad andare in vacanza. 

Invece Franceschini, ministro anche del Turismo che magari qualche volta ha fatto anche il turista ma certamente dell’argomento non comprende neppure i fondamentali, in questo momento è in tutt’altre faccende affaccendato e non ha tempo da dedicare al comparto. “Il ministro del turismo Franceschini ci ha abbandonati. Non soltanto non ha accolto le richieste che abbiamo fatto, ma non ha proposto misure alternative efficaci. E con questo ha condannato a morte le imprese”. Non le manda certo a dire con cortesia il consigliere delegato di Astoi Pier Ezhaya, che, in un’intervista a Repubblica elenca i motivi per i quali è praticamente impossibile viaggiare, dentro o fuori dai nostri confini visto che al rientro, in taluni casi, i turisti devono fare la quarantena (dalla Tunisia solo per fare un esempio, meta gettonata e spesso scelta per i budget affrontabili). 

Il problema di un paese che sul turismo potrebbe costruire una fortuna è che i suoi politici sono troppo impegnati a cercare soluzioni creative quando basterebbe utilizzare ciò che abbiamo. Siamo il paese più cercato al mondo su Google; siamo il sogno per milioni di turisti; rappresentiamo l’eccellenza in ogni settore: dal turismo di lusso a quello itinerante. Capri, Taormina, Venezia, Firenze, le Dolomiti, i laghi: e stiamo citando in ordine sparso esempi a caso. Ma tutti luoghi del desiderio. Abbiamo hotel che hanno fatto la storia dell’accoglienza. E li teniamo chiusi per decreti ingiustificati, per regole che più nulla hanno a che vedere con l’emergenza sanitaria. Vedere questo governo di Soloni e task forces incompetenti della materia di cui discutono, al lavoro, è un dramma collettivo cui nulla paiono servire le grida alte di allarme levate anche da Confindustria nei giorni scorsi. Nulla. Non si impegnano. Come i bambini svogliati a scuola. Non studiano la materia, non ascoltano i consigli, troppo presi a dibattere su come farsi inquadrare meglio nelle conferenze stampa in cui rilanciano riaperture di fatto fantasma. O in cui raccontano dell’ennesimo salvataggio di Alitalia, unici soldi veri arrivati nelle casse di un’azienda dopo le mille promesse da Pinocchio del premier che alle aziende non ha ancora dato nulla e tutto ciò che è stato capace di fare è stato traslare di 20 giorni il versamento delle imposte di giugno; ma ovviamente con interessi di mora. 

Quindi, ancora una volta, si vive di speranze e di buona volontà dei singoli, degli imprenditori e delle catene che scommettono con i loro soldi (e ci mancherebbe, l’imprenditoria è questo) ma senza sapere con quali regole e con quale futuro.  Perché affermare che sarà il turismo italiano a salvarci, è una bugia per non usare altri termini. “Il turismo di prossimità non può salvare il settore e in ogni caso del bonus vacanze potranno usufruire troppo pochi. Dal punto di vista degli aiuti, un tour operator non riceverà nulla, neanche come credito d’imposta. Stimiamo che degli 80mila impiegati del settore, senza considerare l’indotto, più della metà perderà il lavoro. Il settore conta 13.000 imprese tra agenzie di viaggi, tour operator e organizzatori di eventi, per un valore di fatturato di 20 miliardi. Avevamo chiesto aiuti per 750 milioni, ne sono arrivati 25. C’è un raffronto che parla da solo: la Francia, in cui il turismo vale il 10% del Pil, ha stanziato per il settore 18 miliardi. E da noi il turismo conta per il 13% del Pil” ha detto ancora Pier Ezhaya. 

E di questo 13% di PIL, va detto chiaramente che il contributo interno è minimo. Il nostro è un turismo di ritorno alle famiglie, di viaggi interni, di hotel in cui il livello medio di spesa è basso, controllato e a budget ristretto. Il nostro turismo, quello che sostiene l’Italia, è quello estero. Quello di chi può permettersi hotel da 500, 800 o 1500 euro a notte; è il turismo giapponese, arabo, americano. Quello le cui mance da sole valgono lo stipendio mensile di un concierge. Ma nulla. Non lo capiscono. 

Cosa servirebbe? Oltre alle richieste già fatte da ASTOI, ovvero l’incremento del Fondo per il turismo organizzato e modalità semplificate per l’accesso allo strumento; prolungamento della cassa integrazione in deroga fine a fine anno; estensione del credito di imposta per gli affitti anche a tour operator, agenzie e organizzatori di eventi. E servirebbe davvero il cambio di governo chiesto da Confindustria; servirebbe un ministro del turismo che almeno avesse conoscenze di base di economia di stato invece che di filosofia e poesia. Ma poiché siamo sufficientemente disillusi sul fatto che sia impossibile, dobbiamo purtroppo sperare che il genio italico ci salvi ancora una volta. Da solo e da soli. Certi invece che poi questi sciagurati al governo si prenderanno il merito della resurrezione come fossero stati loro artefici di un miracolo che, se avverrà, sarà solo frutto di albergatori, T.O., agenzie di viaggi, agenzie di eventi, strutture di promozione. 

Il Governo? Non pervenuto. 

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