Cucina

QUANDO IL RAP ENTRA IN CUCINA

“La rete” un mare magnum nel quale perdersi alla ricerca di novità sul mondo della ristorazione. E’ facile imbattersi in una SERP (search engine result pages) con un contenuto…interlocutorio: come rap e cucina!

Ladies and gentlemen, welcome to the debut grand opening
Of Madvillain Bistro Bed and Breakfast Bar and Grill
Cafe lounge on the water”

“Where we offer you the finest of the finer things
Twenty four hours a day, seven days a week
Three hundred and sixty five days a year”

Cliccando sul link, non arrivo ad un’accurata descrizione di un nuovo food lounge in California, come forse mi sarei aspettato, ma ad un album del rapper Daniel Dumile, del 2004.

E così incuriosito, proseguo nella lettura. Nei primi anni ’90, Daniel Dumile inizia come K.M.D. con suo fratello Dj Subroc che lo lascia prematuramente spingendolo ad attendere quasi 10 anni prima di tornare ad inventare i suoi testi rap usando diversi alias: The Metal Face, Man and the Mask, Viktor Vaukn, King Geedorah e Metal Fingers per coronare la sua avventura, prima di morire a 49 anni, come si addice ad una pop star, nel 2020, col nome di MF DOOM.

Ascolto l’album: mi sorprendono le basi ma, soprattutto, il flow.

Nella creazione delle proprie ricette, la maggior parte dei cuochi, segue scrupolosamente tecnica e metodo, come chi, scrivendo i testi delle canzoni, segue la metrica. Gli chef seguono regole culinarie per dare “ritmo” al piatto: ci sono alcuni cuochi, pochissimi e forse i migliori, che inventano e cucinano senza badare al fatto che il piatto potrebbe “non andare a tempo”, senza rendersi conto che potrebbe essere un po’ forzato; senza rispettare la “metrica”. Cucinano in 4/4, ascoltando la base, facendo cadere ogni singolo gusto sul rullante.

Nel menù dell’album Madvillainy di DF DOOM ho trovato basi musicali che spaziano dal jazz al funky, dal rock al R&B. Basi sbalorditive che accostano semplici ritmi ad elaborate composizioni. Le basi di ogni brano sono diversissime tra loro, diametralmente opposte, ma legate alla perfezione dalla mano, dai testi e dall’untouchable flow del grandissimo artista Daniel Dumile.

L’album mi ricorda l’esperienza in un piccolo ristorante nel sud della Francia.
La cuoca, una donna andalusa di circa 50 anni, aveva girato il mondo e fatto esperienza in decine di cucine da Parigi al Sud America, dall’Africa all’Asia. Tutti i suoi piatti avevano basi eleganti e, allo stesso tempo, sofisticate. Sapeva interpretare il suo stato d’animo e quello di chi li mangiava coinvolgendo nel gusto, olfatto e pensiero.
Non amava i fronzoli, gli impiattamenti e i suoi “bocconi” li serviva, in piccole dosi, in vecchi piattini e ciotole sbeccate, volutamente in versione LO-FI.

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Conciliava la sua arte con il riconoscimento del grande pubblico convinta che non avrebbe mai ceduto al commerciale. Anche lei, non sarebbe stata una pop star se non ci avesse lasciati prematuramente. Mi raccontava di aver abitato in una comunità a Marsiglia dopo aver vissuto per le strade di Buenos Aires e di aver lavorato in un ristorante a Mayotte (Isole Comore) per poi andare in India. Si era innamorata ed era partita per il Brasile, poi per la California e a New York il suo uomo l’aveva abbandonata.

Tornata in Francia, da questi posti si era portata i sapori e li assemblava con lo stesso soulful di DF DOOM in questo suo progetto. La complessità tecnica dei suoi ravioli secchi con foie gras che dovevi inzuppare con le mani nella salsa al cognac erano irreali come la metrica, ed eleganti come la base, del brano Figaro.
Le sue verdure speziate e piccantissime si alternavano a prelibati bocconi di carne come le skit strumentali nell’album.

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Sapeva essere dissacrante come Strange Ways con la sua croquette di paella servita come contorno alla coscia di coniglio arrosto irrorata di lime.
Come in Fancy Clown, scaturiva la sua introspezione dal gambero d’acqua dolce che, crudo, racchiudeva in due cialde, molti simili ad un’ostia, assieme ad una punta di wasabi. Come, in Great Days, DF DOOM ha dimostrato di essere un grande scrittore, lei dimostrava di essere una grande cuoca con il suo boeuf à la Bourguignonne.

E molto spesso, lasciava spazio a colleghi estranei permettendo loro di cucinare nella sua cucina proprio come succede in Hardcore Hustle ed in altri brani. La sua cucina, era come lei e quando assaggiavi i suoi “bocconi”, era come accompagnarla nel suo viaggio interiore.

Scherzava e rideva dicendo che la scritta che aveva tatuata sul polso non era il nome del cantante ma quello che valeva la sua vita: 50 cents. Mentre cucinava, ascoltava Eminem alternandolo a rapper spagnoli. Ricordo con nostalgia questa grande cuoca che mi ha insegnato che come nel rap, il grande artista non si misura per le collane e gli anelli d’oro che indossa.

Forse il suo ristorante avrebbe dovuto chiamarlo Madvillain Bistrot.

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