Per risalire alle origini della festa degli innamorati, dobbiamo tornare indietro sino all’Impero Romano del 270 D.C. e a Claudio II, detto il Gotico, il quale, guidato dalla sua pazzia, eliminò Gallieno per prendere il suo posto e sterminò tutti i popoli che cercavano di conquistare Roma. Illuminante fu il suo incontro con il Vescovo di Terni, che poi è colui che si festeggia, il 14 febbraio: l’attuale San Valentino.
Durante l’Impero e nei primi secoli dopo Cristo, le popolazioni italiche offrivano cibo agli dèi pagani nei santuari della penisola. In ogni santuario c’era un’ara, una tavola sulla quale venivano adagiate offerte di ogni genere tra le quali, alimenti.
Già da qui, capiamo quale fosse l’importanza e il rispetto che venivano conferiti al cibo, tanto da classificarlo come sacro omaggio agli dèi. Il cibo che si sacrificava, era quello che veniva consumato dagli italiani dell’epoca: carni ovine e caprine, grani crudi o cotti come il puls (polenta di farro), pane e focacce che si presentavano, come ai nostri giorni, in diverse forme: circolari, ad arco o a forma di treccia (strues). Molte focacce venivano sagomate a forma umana e si chiamavano maniae. Non mancavano anche gli alimenti liquidi: acqua, latte e vino. I sacrifici di animali avvenivano sull’altare esterno e alla macellazione veniva fatta seguire la cottura e il consumo del pasto in comune: il banchetto.

In ogni storia e leggenda, il cibo è sempre presente perchè senza la Madre Terra ed il lavoro dell’uomo non ci si potrebbe sfamare.
Sin da tempi remoti, si celebrava la Madre Terra affinchè rimanesse fertile e donasse agli uomini i suoi frutti e si celebrava la fertilità degli esseri umani affinchè potessero mettere al mondo creature abili a coltivarla.
La festa degli innamorati nasce proprio da uno di questi riti pagani che la Chiesa Cattolica ha trasformato in religioso, identificando in San Valentino l’ispiratore.
Nei giorni di febbraio, si dice dal 13 al 15, si celebravano i Lupercàli, in latino Lupercalia, in onore del dio Fauno chiamato anche Luperco, ovvero protettore di capre e pecore dall’attacco dei lupi. Fin dal IV secolo A.C., i pagani omaggiavano il dio Lupercus con un rito molto simile al “gioco delle coppie” dei nostri giorni: i biglietti con i nomi di donne e uomini che adoravano Fauno, venivano messi dentro un’urna ed estratti a sorte da un bambino allo scopo di formare le coppie che nell’anno successivo avrebbero vissuto in intimità al fine di adempiere al rito della fertilità mettendo al mondo bambini che più di essere il frutto dell’amore, sarebbero stati la futura manodopera.
Sicuramente, i festeggiamenti, al fine di agevolare la socializzazione e stimolare i sensi, comprendevano cibi e bevande. Il cibo viene associato da sempre all’amore e alla stimolazione dei sensi e da sempre, a certi alimenti si attribuiscono poteri afrodisiaci: il pesce, i pepi, le spezie e la frutta a guscio, tanto per citarne alcuni. Il vino ed altre bevande fermentate aggiungevano l’euforia e la pazzia necessaria al popolo per calarsi in giochi erotici ed orgiastici stimolati da questo rito.

Il piacere sessuale fine a se stesso, però, non è contemplato da molte religioni ed ecco perché la chiesa cattolica di Papa Gelasio, pur mantenendo tale festività l’ha reindirizzata verso l’amore puro di due innamorati, prendendo spunto dalle gesta del Vescovo Valentino di Interamna (Terni) che in prigione, in attesa di essere lapidato e decapitato per aver tentato di convertire l’imperatore Caudio II, si innamorò della figlia cieca del suo guardiano alla quale, grazie al miracolo della Preghiera e dell’Amore Puro, venne donata la vista.
Quello che non è mai cambiato, è il cibo: si festeggia con il cibo, il cibo non va mai contro le religioni, il cibo non va contro il senso del pudore, il cibo non scandalizza.
Mi chiedo quale potesse essere la pietanza che i romani consumavano durante questa festa, sia in versione pagana che cattolica. Penso ai cibi afrodisiaci ed alle pietanze dei primi secoli D.C. dell’Impero Romano e più che alle carni e ai pesci, ricordo grazie ai miei studi e alle mie letture, quello che veniva utilizzato per insaporirli: oltre ad olii e spezie usavano il Garum.
Il Garum era una salsa ottenuta dal liquame del pesce fermentato usato come condimento dai Fenici, dai Greci Antichi e dai Romani. Se ne parla sino ai tempi di Bisanzio. Immaginando che gusto potesse avere, lo potrei associare alla soia fermentata, alla salsa d’ostrica e ai sapori umami, uno dei cinque gusti riconosciuti dalla cucina giapponese ed ora, con la globalizzazione culinaria, in tutto il mondo.
Penso alle salse a base di pesce assaggiate in Cambogia ed oltre al gusto mi torna il ricordo olfattivo: difficile, per noi occidentali moderni, da sopportare. I romani antichi, a quanto pare, lo mischiavano con tutto e lo consideravano anche afrodisiaco.
Ripenso ai festeggiamenti durante la festa degli innamorati, dai Lupercàli ai giorni nostri, e mi chiedo se i fidanzatini di Peynet sarebbero riusciti a scambiarsi le effusioni illustrate nei suoi splendidi disegni dopo aver consumato, nell’antica Roma, una cena a base di Garum.
Ma si sa: per amore delle rose si sopportano le spine!