Shamsia Hassani è la prima street artist afghana, portatrice di speranza e rinascita in un paese dilaniato da guerre e senza possibilità economiche. Il suo nome significa “Sole” a testimoniare quanto l’arte possa essere, e dare, un messaggio di libertà e luce.
L’Afghanistan così come l’Iran sono oramai noti alle cronache dei nostri giorni non per le loro bellezze naturali e artistiche, ma per le terribili repressioni che impediscono la libertà di espressione e dei diritti, soprattutto verso le donne.
Shamisa Hassani, nata nell’aprile del 1988 in Iran da rifugiati afghani originari del Kandahar, torna a Kabul nel 2005 per studiare arte, cosa proibita in Iran agli studenti di origine afghana.

Diventa pittrice e professoressa di scultura proprio presso l’università della città, dove ha insegnato sino al 2021. Ma nel 2010, grazie ad un corso organizzato a Kabul da Combat Communications e all’ artista inglese Wayne Chu Edwards, si innamora della street art. La possibilità di dipingere sui muri, spazi visibili a tutti gratuitamente, appassiona l’artista che alterna la denuncia alla poesia, riempendo le mura di sogni e miraggi rivoluzionari. Colora con le sue bombolette le strade ferite di Kabul rischiando la vita ogni volta che va per strada, ed i suoi murales vengono costantemente cancellati dalle autorità, ma lei non si ferma.
Shamsia Hassani, la prima street artist afghana
Costretta a vivere nascosta, afferma: “l’arte è più forte della guerra“. Molti sono i punti di contatto con gli artisti europei ai quali si ispira, ma ad indicarle davvero il percorso artistico è la street art sovversiva e satirica di Bansky, artista e writer britannico le cui opere spesso riguardano argomenti come la politica, la cultura e l’etica.

Shamsia Hassani espone la sua arte digitale in India, Germania, Iran, Italia e Svizzera. Una delle sue opere sulle pareti del centro culturale della capitale più significative è una donna che indossa un burka seduta sui reali gradini di un’abitazione diroccata. L’iscrizione sottostante recita L’acqua può ritornare in un fiume arido, ma cosa succede al pesce morto?
Rappresenta l’incertezza femminile, la restrizione nel restare bloccata ai piedi della scala, senza possibilità di salire quei gradini e recuperare una posizione dignitosa nella società.
Ha ricevuto parecchi riconoscimenti, è stata selezionata tra le top 10 per l’Afghan Contemporary Art Prize nel 2009 e nel 2014 è finalista per il premio Artraker, con il suo progetto La magia dell’arte è la magia della vita. Nello stesso anno è stata anche nominata tra i 100 membri dei Global Thinkers, selezione di intellettuali e attivisti che si adoperano per un mondo migliore.

Le opere di Shamsia Hassani, le figure femminili che dipinge, anche se avvolte nel tradizionale chador, destabilizzano la sensibilità patriarcale. Shamsia parla di altre città, di libertà e muri abbattuti, strade volanti. Sagome quasi cartoon, spiriti fluttuanti che emergono tra le macerie. Hanno i contorni netti e spigolosi, sotto il burqa o l’hijab vi sono persone reali che però non hanno nemmeno il segno della bocca, solo occhi chiusi e sognanti, armate di strumenti musicali, una chitarra o il pianoforte, con tutta la dirompente energia di un concerto rock.
L’azzurro è il colore che spesso si alterna al nero del burqa che, volutamente, diventa il colore della libertà. Linee curve e arricciate, onde del mare e del vento, emblema di parole non dette, taciute.
Ritrae un essere umano orgoglioso, con obiettivi e determinazione, che può apportare cambiamenti positivi.
In un’altalena di sentimenti, le donne raffigurate da Shamsia Hassani mostrano lacrime, sbarre, ma anche vitalità e rinascita.
Un’iride emotiva intensa e vertiginosa, che si alterna tra pipistrelli e giochi di prospettive tra i palazzi. Il velo diventa quasi il foulard delle contadine, delle rivoluzioni sovietiche, del nostro passato che per loro è ancora futuro.

L’arte è così al servizio del suo popolo, per il riconoscimento dell’importanza del ruolo della donna nella società civile e nelle istituzioni, ma anche per i valori della pace, di solidarietà e di libera espressione della creatività.
Secondo i dati ufficiali, l’Afghanistan è uno dei paesi più poveri del mondo. Dei suoi 35 milioni di abitanti (stima del 2017) solo il 15% delle donne sa leggere e scrivere. Le donne sono ancora proprietà degli uomini, servono principalmente a tenere in ordine la casa, a procreare, ad obbedire e tacere. Proprio per questo in un paese dove la sopravvivenza quotidiana è ancora u’incognita, realizzare queste opere e diffonderle è un atto di coraggio che può essere considerato eroico e che va sicuramente divulgato.

La street art, ovvero l’arte di strada, è una forma d’espressione artistica che si manifesta nei luoghi pubblici. Non va però confusa con il graffitismo che comunica tramite l’impiego di spray e marker privilegiando le “scritte”. Dietro ai murales solitamente c’è un progetto articolato che intende trasmettere un messaggio, sensibilizzare su determinate tematiche, valorizzare specifiche aree urbane, ecco perché la street art ha conquistato il mondo. Uno tra i tanti, del già citato artista Bansky, si trova a Londra. “La ragazza col palloncino” che raffigura una bambina con la mano tesa verso un palloncino rosso a forma di cuore, che simboleggia l’amore, la speranza.
Nel suo ultimo post Shamsia Hassani ha scritto: “Grazie per i vostri messaggi e per avermi pensato in questo momento. I vostri messaggi e commenti dimostrano che l’umanità e la gentilezza sono ancora vivi e non hanno confini. Grazie per il vostro sostegno e l’interesse, sono al sicuro“.
Il suo più grande desiderio è quello di aprire una scuola per graffisti e collaborare proprio con Bansky, chissà se ci riuscirà.
Noi glielo auguriamo di cuore.
di Elena Volpato