A Venezia, sprofondo nel comodo divano di un hotel pieno di turisti a “stelle e strisce” mentre aspetto un amico.
Ho tra le mani una copia del libro di Daniele Scaglione, “Più idioti dei dinosauri”. A pagina quattordici, leggo la sua riflessione, quasi un presagio, nella quale descrive una Venezia, si intuisce, completamente sommersa, sulla quale i veneziani cammineranno “su piattaforme galleggianti, tipo quelle che l’artista Christo ha montato nel 2016 sul lago d’Iseo”.

Alzo lo sguardo per esorcizzare l’immagine e scorgo una fessura sul muro di questo palazzo del milletrecento. Vengo risucchiato dallo stondato rumore delle pale dell’elicottero che introducono “welcome to the machine” dei Pink Floyd che mi portano dentro a quella fessura.
Come ne “Il crollo della casa Usher” mi trovo in un paesaggio dove non c’è niente che non sia terrificante. In una profonda pozza d’acqua scura e putrida, si riflettono case, palazzi e alberi spogli. Ho la stessa impressione descritta da EdgarA. Poe nel suo racconto: tutto questo non ha affinità con la terra e il cielo; tutto è arcano, tenebroso.
I palazzi sono consumati dal tempo ma sembrano perfettamente conservati e ben saldi, piantati nell’acqua.

Io sono come Roderick Usher, orribilmente cambiato. Sono smunto, spettrale. Ho gli occhi rossi e lucidi e ragnatele al posto dei capelli. Il morbo che mi affligge è lo stesso che affligge Usher: il riflesso delle precarie condizioni di salute della sua amata sorella, Lady Madeline.
Arriva, come nel racconto di Poe, qualcuno che cerca di distrarmi dalle mie afflizioni dipingendo, leggendomi storie e facendomi ascoltare circensi musiche di chitarra.
Vado alla finestra e grido a tutti che Venezia è morta. Le persone camminano sull’acqua e non si girano nemmeno a guardarmi. Venezia è Ofelia dormiente. La seppellisco, piangendo, nel pavimento sotto al mio letto. Mi scuote un incubo nell’incubo che mi sveglia dal sonno nel sonno: Venezia è ancora viva. Si agita, urla, vuole uscire. La vedo davanti a me, sporca di sangue con le vesti a brandelli.

Mi sveglia un turista americano che si lamenta perché la sua camera non si affaccia sul Canal Grande. E lo grida. È da quando sono nato che mi dicono che Venezia sta affondando. È da quando sono nato che benefattori americani, australiani, russi e israeliani raccolgono fondi per restaurare palazzi e monumenti. Forse dovrei, da veneziano, ringraziarli.
Ma che ne sanno loro, salvatori dell’umanità, improbabili filantropi? Loro che dicono di amare l’arte e per questo vogliono salvarci, che ne sanno? Loro che hanno già dimenticato le offese a Petra? Che ne sanno loro di noi che camminavamo, d’estate, a piedi nudi in fondamenta, davanti a casa per raggiungere la barca con la quale andavamo a fare il bagno in laguna; che ne sanno di quando, da bambini, giocavamo a palla nei campielli e correvamo a mangiar il gelato alle Zattere?
Che ne sanno delle serate che passavamo a chiacchierare, da adolescenti, seduti sui pozzi? Che ne sanno del suono delle sirene dell’acqua alta che ci avvertivano che saremo dovuti uscire con gli stivaloni di gomma? Che ne sanno delle calli, immerse nella nebbia d’inverno, che percorrevamo a piedi per andare a scuola?
Ora, tutto questo non esiste più. Tutto cambia e il tempo non ci lascia che ricordi.
Caro Scaglione, progetti la sua visita con Silvia al più presto perché, come dice lei, “l’acqua ancora più alta di quanto già non lo sia di solito” potrebbe non tardare ad arrivare e lei, come tanti altri, vi rammaricherete per non esser riusciti a visitare il Palazzo Ducale.
Noi, invece, verremo trascinati a terra, morti dal terrore, dalla sepolta viva, da una Lady Madeline con un decadente abito di carnevale e un buffo neo sulla guancia.
Photocredit: @ IgnacioDePetra